Legge Basaglia. Una liberazione soprattutto per le donne
«Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione.» (Franco Basaglia)
Ricorre oggi il 42esimo anniversario della Legge Basaglia, la legge attraverso cui venivano cancellati i manicomi. Prima della Legge 180/1978 i malati con disturbi psichici erano considerati irrecuperabili e pericolosi socialmente, pertanto venivano allontanati dalla società, emarginati e rinchiusi nei manicomi.
Anche per quanto riguarda i manicomi, c’è una grande differenza di genere: le donne venivano internate con il pretesto della pazzia per ottenere vari risultati: liberarsi di mogli o congiunte e colpire donne che evadevano dagli stereotipi patriarcali di mogli e madri. Un interessante esempio di questo tipo è rappresentato da libro di Annacarla Valeriano, Malacarne. Donne e manicomio nell’Italia fascista
Ma la storia delle donne non è fatta solo di oppressioni. Dobbiamo recuperare le azioni positive, come quella della reporter Nellie Bly (pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran), che nel 1887, si finge una rifugiata afflitta da paranoia e si fa rinchiudere nel manicomio dell’isola Blackwell, allo scopo di scoprire le condizioni di vita delle donne ricoverate. Dopo il suo reportage investigativo, Nellie venne licenziata, ma una commissione stanziò 1.000.000 di dollari per apportare una riforma degli istituti di igiene mentale.
“Prendi una donna perfettamente sana, rinchiudila in una stanza gelida e costringila a sedere dalle 6 del mattino alle 8 di sera, impedendole di muoversi e di parlare, alimentala con pessimo cibo, senza mai darle notizie di ciò che accade nel resto del mondo e vedrai come, ben presto, la condurrai alla follia. Due mesi sono sufficienti a provocarle un vero e proprio esaurimento fisico e mentale”.
In Italia una delle maggiori inchieste sulle donne nei manicomi è stata condotta da Giuliana Morandini, giornalista e scrittrice, con il volume … E allora mi hanno rinchiusa, con cui vince il Premio Viareggio Saggistica 1977. Nella prefazione scritta da Franca Ongaro, moglie di Franco Basaglia, emerge la differenza del corpo femminile rinchiuso in un manicomio.
Per la donna esistono una serie di difficoltà e impossibilità che vengono a sovrapporsi e che sono specifiche del suo ruolo, di ciò che ci si aspetta debba essere, di come deve comportarsi e di quali regole deve rispettare. Il suo essere considerata e voluta “corpo” è ciò che ha impedito alla donna di essere un soggetto storico-sociale, avendo questo corpo valore solo in quanto oggetto per altri, mai per sé. Il posto predominante che amore, figli, sentimenti hanno avuto nella sua vita, è il segno della barriera che l’ha sempre tenuta esclusa dalla vita sociale, offrendole in cambio l’illusione di essere sovrana in uno spazio in cui neppure il corpo era di sua proprietà.
Il corpo è mio e me lo gestisco io!?!
Nelle ultime settimane ha fatto molto parlare di sé la vicenda legata alla giornalista Giovanna Botteri e allora ho pensato di fare un post in cui parlare dell’autodeterminazione femminile nel vestire. Giovanna ha detto rispetto alla propria vicenda “Mi piacerebbe che l’intera vicenda prescindendo completamente da me, potesse essere un momento di discussione vera, permettimi, anche aggressiva, sul rapporto con l’immagine che le giornaliste, quelle televisive soprattutto, hanno o dovrebbero avere secondo non si sa bene chi.”
Bene, ecco allora qualche esempio di donne che nella Storia hanno sfidato le leggi (scritte o non) della rappresentazione femminile nello spazio pubblico. Con una precisazione iniziale importante “La rappresentazione delle donne ha avuto un posto chiave nell’immaginario popolare e ogni forza e ogni movimento politico, che aspirasse alla leadership nazionale o che la esercitasse davvero, e le altre istituzioni (Chiesa, industria dello spettacolo) hanno cercato in qualche modo di appropriarsene o di adoperarla. [Stephen Gundle, Figure del desiderio. Storia della bellezza femminile italiana dall’Ottocento a oggi, Editori Laterza, Roma-Bari, 2007]
Rose Bonheur (pittrice francese), Madeleine Pelletier (psichiatra francese) e George Sand (scrittrice francese) sono state più volte richiamate per la decisione di indossare pantaloni. Una legge della Francia repubblicana ai tempi della Rivoluzione Francese, infatti, obbligava le donne a indossare le gonne.
Constance Lloyd moglie di Oscar Wilde partecipò al Victorian dress reform movement, movimento di riforma dei vestiti durante l’epoca vittoriana, che aspirava a vestiti più leggeri e razionali per le donne e alla liberazione da vere e proprie gabbie come il corsetto.
Amelia Bloomer femminista statunitense che nella propria rivista, “The Lily”, promuoveva un cambiamento negli standard di abbigliamento per le donne, il bloomer appunto (tunica+pantalette): “Il costume delle donne dovrebbe essere adatto alle sue necessità e necessità. Dovrebbe condurre immediatamente alla sua salute, conforto e utilità; e, sebbene non debba mancare anche di condurre al suo ornamento personale, dovrebbe rendere tale fine di secondaria importanza.”
Helen Hulick è stata un’educatrice statunitense finita in prigione per aver difeso il proprio diritto di indossare i pantaloni durante un processo durante il quale da vittima di un furto diventa colpevole di oltraggio alla corte e condannata a 5 giorni di carcere.
Anche nel mondo dei libri per l’infanzia c’è un personaggio a cui piace vestirsi in modo eccentrico e casuale Pippi Calzelunghe, vera e propria icona della libertà e dell’autodeterminazione nata – guarda caso – dalla fantasia e dalla penna di una donna, Astrid Landgren.
Come vedete la lotta per l’autodeterminazione, anche nel campo del vestire, ha una storia lunga …
8 marzo: una giornata di Lotta e di Azione
L’8 marzo è la Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne, chiamata a volte Festa della Donna con tutto ciò che ne consegue per il nostro immaginario (festa = divertimento, festa della donna e allora quella degli uomini quando è? festa della donna = festa della mamma = festa del papà = san Valentino… ) Mi sembra giusto quindi raccontarvi oggi di Clara Zetkin, teorica marxista e politica tedesca, attivista per i diritti delle donne, che è stata l’organizzatrice delle Prima Giornata Internazionale delle Donne il 19 marzo 1911.
Durante la Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste di Copenaghen (agosto 1910) Clara Zetkin insieme a Luise Sietz, propone l’istituzione ufficiale di un giorno nel quale celebrare le battaglie femminili del passato e protestare per i diritti ancora da conquistare. Inoltre durante la prima guerra mondiale organizzò una conferenza internazionale delle donne socialiste contro la guerra a Berlino. A causa di questa sua posizione pacifista fu arrestata diverse volte durante la grande guerra.
Clara scriveva “Tutte le donne, qualunque sia la loro posizione, dovrebbero esigere l’uguaglianza politica come mezzo per una vita più libera”. Secondo voi è importante avere una data in cui le donne possano scendere in piazza ed ottenere visibilità, rivendicando il diritto alla propria emancipazione e autodeterminazione, ancora oggi?
In italiano l’8 marzo prende piede soprattutto a partire dal secondo dopoguerra e attraverso un fiore simbolo: la mimosa. Forse non tutte (e tutti) sappiamo che la scelta della mimosa come fiore simbolo si deve a Teresa Mattei, partigiana e politica, la più giovane donna a essere eletta nell’Assemblea Costituente. Alla scelta di Luigi Longo, segretario del PCI, di usare le violette come in Francia, Teresa Mattei insieme a Rita Montagnana e Teresa Noce, propone l’uso delle mimose: un fiore più povero e diffuso nelle campagne. «quando nel giorno della festa della donna vedo le ragazze con un mazzolino di mimosa penso che tutto il nostro impegno non è stato vano».
Ma Teresa non ha “solo” inventato il simbolo dell’8 marzo in Italia, ha partecipato attivamente alla redazione della Costituzione, ad esempio dell’art.3 sull’uguaglianza dei cittadini e delle cittadine. “È nostro convincimento, che, confortato da un attento esame storico, può divenire certezza, che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese.”
Olympe de Gouges e la Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina
Ogni 3 novembre davanti al Panthéon a Parigi si riuniscono centinaia di persone per chiedere un atto simbolico: l’accesso al luogo simbolico più importante di Francia delle spoglie della drammaturga e saggista francese Marie Gouze (Olympe de Gouges, 7 maggio 1748 – 3 novembre 1793).
Marie/Olympe è ricordata per essere l’autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791) dove dichiara l’uguaglianza tra donne e uomini, la Dichiarazione dell’uomo e del cittadino se l’era scordata. La Rivoluzione Francese che poniamo a base dei nostri ordinamenti repubblicani occidentali (libertà, uguaglianza, fratellanza) si manifesta subito come un paese maschilista che esclude progressivamente le donne che avevano partecipato alla Rivoluzione dalla gestione della cosa pubblica.
“Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, chiedono di potersi costituire in Assemblea nazionale. Considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, hanno deciso di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri della donna, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro senza sosta i loro diritti e i loro doveri, affinché gli atti del potere delle donne e quelli del potere degli uomini, potendo essere paragonati ad ogni istante con gli scopi di ogni istituzione politica, siano più rispettati, affinché le proteste dei cittadini, fondate ormai su principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre al mantenimento della Costituzione, dei buoni costumi, e alla felicità di tutti. In conseguenza, il sesso superiore sia in bellezza che in coraggio, nelle sofferenze della maternità, riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’essere supremo, i seguenti Diritti della Donna e della Cittadina.”
Finì ghigliottinata, ma il suo ricordo e la sua azione politica rimangono in noi che ogni giorno lottiamo contro il patriarcato!