21 Febbraio, Giornata Internazionale della Lingua Madre
Tra le tante ricorrenze che scandiscono i giorni del calendario, il 21 febbraio è la Giornata internazionale della Lingua Madre, istituita per promuovere la madrelingua, diversità linguistica e culturale e il multilinguismo.
Ho pensato di raccontarvi quindi di Joyce Lussu partigiana, scrittrice, traduttrice e poeta italiana, medaglia d’argento al valor militare, capitana nelle brigate Giustizia e Libertà. Joyce ha descritto l’esperienza della Resistenza nel libro autobiografico Fronti e Frontiere (1946).
Dopo la Liberazione, Joyce è attiva prima nel Partito d’Azione, fino al suo scioglimento nel 1947 e successivamente nel Partito Socialista arrivando alla direzione nazionale. Tornerà a occuparsi di attività culturali e politiche autonome, insofferente di vincoli e condizionamenti d’apparato. Sarà tra le promotrici dell’UDI e lotterà contro l’imperialismo e il colonialismo.
Per conoscere le situazioni storico-culturali degli altri popoli, Joyce si occupa di poesia, traducendo opere di poeti e poete viventi, alternativi, non letterati, spesso provenienti dalla cultura orale (turchi, albanesi, curdi, vietnamiti, africani, eschimesi, aborigeni australiani…). Una traduzione che non si basava sulle regole grammaticali e sintattiche, quanto sulla mediazione, sui suoni e gli umori delle lingue. E questo passaggio fu fondamentale sia per portare in Italia nuovi autori – come per esempio Nazım Hikmet – sia problemi geopolitici, come l’oppressione del popolo curdo!
Concludo con una sua frase che è per me di grande, grandissima ispirazione e che trovate nella homepage del mio sito “Ora io credo che in ogni caso bisogna “costruire” e credo che l’unico modo per combattere certe cose sia è costruirne altre, alternative, senza farsi portare sul terreno di chi sta dalla parte del potere. Io sul loro terreno non ci vado, e intanto, da un’altra parte costruisco un’altra cosa e vediamo come va a finire.”
Paula Rego, dipingere l’attivismo
“È indispensabile che le donne abbiano una scelta” ha affermato Paula Rego, artista portoghese per accompagnare alcune sue opere che hanno fatto molto scalpore in Portogallo.
Perché?
Perché Paula nella serie di lavori intitolata Untitled. The abortion pastels (1998). Ogni tela raffigura l’immagine di una donna che subiva un aborto pericoloso. E lo fa come risposta a un referendum sulla legalizzazione dell’aborto in Portogallo che ebbe esito negativo. Paula Rego si oppone alla criminalizzazione dell’interruzione di gravidanza affermando che il movimento antiaborto criminalizza le donne e in alcuni casi metterà le donne, soprattutto quelle povere, in situazioni potenzialmente mortali.
La serie era stata ispirata sia dalle sue esperienze personali che da quelle delle sue studenti. Ritratte con duro realismo, le donne dei quadri ci raccontano di un mondo silenzioso, ma reale per molte donne (ancora oggi). Il lavoro di Paula è stato parte integrante nel cambiare l’opinione pubblica portoghese dove l’aborto è stato depenalizzato (solo) il 10 aprile 2007.
L’utero, l’organo che dà la vita, emetteva anche la voce e nel termine greco omphalos si riconosce il termine omphé (parola) e ompheuein (vaticinare).