Dell’abilitazione e di altre oppressioni
Questo è un post che volevo scrivere da un po’ di settimane. Poi come si sa a volte ci sono delle priorità che si impongono. In realtà c’è anche la questione che non è un post facile. Ma voglio semplificarlo perché sia comprensibile.
Ho iniziato a pensarci quando sono usciti i risultati dell’abilitazione nazionale alla ricerca.
Io faccio la ricercatrice. Quando devo compilare dei moduli mi definisco così.
Perché per me è il lavoro più bello del mondo e voglio condividerlo il più possibile.Mi sono chiesta quindi quando ho visto i risultati di alcune categorie cosa significhi farsi abilitare. Che secondo chi giudica possiamo essere capaci o no? e quali sono i parametri con cui giudicano? dottorati e altri titoli, pubblicazioni nazionali e internazionali, importanza dei contenuti.
Tutti parametri validi, per carità. Ma si sa, e lo sa benissimo chi fa ricerca, che in questi parametri non ci può essere meritocrazia, non c’è oggettività. I parametri sono il risultato di una serie di strutturazioni culturali che fanno dire che chi ha un titolo più alto vale di più, che chi pubblica fa più ricerca, che chi è riconosciuto a livello internazionale ha più meriti.
E allora mi chiedo perché continuare a perpetuare queste oppressioni? Perché le persone non si ribellano, avendo gli strumenti culturali per farlo?
Chi mi ha deluso di più in questo caso sono alcune donne che conosco. Donne che si definiscono femministe, che fanno ricerca di studi di genere, glbtqi e altro. Che senso ha nei libri, nelle conferenze, nei convegni e nei dibattiti citare Virginia Woolf e la sua assenza dalle sfilate degli uomini colti e Carla Lonzi e la sua assenza dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile?
C’è da riflettere su cosa diciamo rispetto a come agiamo. Solo quando sappiamo andare oltre il riconoscimento degli altri, il nostro ego e il nostro narcisismo possiamo veramente costruire un mondo meno opprimente anche all’interno del mondo della ricerca.
I parametri poi sono assurdi: fare continuamente attività di ricerca, pubblicazione e insegnamento significa eliminare completamente tutto il resto, la socializzazione, il tempo libero e le relazioni. La ricerca invece per essere efficace e non mero trastullo deve inserirsi nella nostra vita, plasmare i nsotri sensi, le nostre amicizie, il rapporto con gli altri, le altre e il mondo!!!
La vita, nonostante (il terremoto e Gramellini)
Questo post l’ho scritto una ventina di giorni fa, poi decido di tenerlo nel cassetto, lo perdo, lo riprendo, so che dovrei aggiornare il blog più spesso… ma insomma c’è “la vita (nonostante)”.
Mi pare, tuttavia, che conservi un’essenza di adattabilità nelle tante situazioni che possiamo vivere, nelle disgrazie che ci propinano dai telegiornali, dalle frasi fatte che ci circondano.Il post nasceva dalla frequenza con cui ho visto postare su facebook l’articolo di Gramellini “La vita, nonostante”
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1189&ID_sezione=56
Leggendolo mi sono chiesta: ma davvero ci si stupisce che la vita vada avanti anche dopo la peggiore tragedia? Davvero siamo diventati così arroganti e superbi da pensare che intorno a noi tutto si fermi? Davvero siamo così ciechi da non vedere che la natura ci impartisce ogni giorno, ogni momento una lezione di vita? Millenni che l’uomo (essere umano di genere maschile) si chiede filosofeggiando che cos’è la vita, che se lo chiede nella sua biblioteca, tra pagine di libri, con parole incomprensibili, concetti complicati e fuori la vita risponde. La vita è movimento, è procedere continuamente.
Un albero non fa domande sul terreno in cui sono immerse le proprie radici, sull’aria più o meno inquinata, sulle persone che lo toccano. Un albero è. Un fiore non si fa domande sulla grandezza dei propri petali, sul colore, sulla forma. Un fiore è.
Di conseguenza non riesco a capire quel nonostante. Non sarebbe più utile ragionare sul perché non vogliamo vivere quando tutto intorno a noi va bene? Non sarebbe più utile ragionare sui rifiuti che opponiamo continuamente alla vita, sul posticipare le nostre azioni, le nostre parole, sui pensieri che ci bloccano, sulle paure che agiscono in noi, sui freni che mettiamo ai nostri desideri?
Non esiste un concetto elaborato di vita, esiste la vita, e noi non possiamo fare altro che decidere come vivere!