• Etnocentrismo o del razzismo politically correct

    Facendo sempre
    riferimento alle discussioni del Feminist Blog Camp II di Livorno a
    un certo punto viene detto che “il razzismo non esiste più a
    differenza del maschilismo”. Per chi parlava – scusate la mancata
    citazione ma non mi ricordo molto bene – è molto difficile dirsi
    razzisti oggi perché attorno al razzismo è stato costruito un
    simbolico negativo e tutte le azioni perpetuate negli ultimi decenni
    per cambiare questo simbolico potrebbero essere adattate per superare
    il maschilismo e il patriarcato che ancora ci circonda.
    Ma siamo veramente certe
    che il razzismo non esista più? Non sto parlando in assoluto, mi sto
    riferendo ai nostri comportamenti quotidiani. Possiamo definirci
    razzisti e razziste? Ne sappiamo portare il peso? O abbiamo trovato
    un termine, una modalità che ci metta al riparo dalle accuse di
    razzismo e in cui ci possiamo muovere agevolmente praticando atti
    quotidiani rimanendo impuniti e impunite?
    Ieri mentre continuo la
    ricostruzione della biografia di una delle più importanti psicologhe
    italiane del 900 (Angiola Massucco Costa), mi sono imbattuta nelle
    sue ricerche sull’etnocentrismo (per dare qualche indicazione minima
    ci troviamo negli anni 50/60). Massucco Costa vede nell’etnocentrismo
    una variante moderna del razzismo. Se il razzismo si basa su
    differenze biologiche l’etnocentrismo fa leva sulle differenze
    culturali.
    Grazie a questa
    prospettiva ci rendiamo conto di quanto siamo “razzisti” e
    “razziste” ogni volta che contrapponiamo partiti politici,
    ideologie, squadre di calcio, quartieri cittadini, gusti, usi e
    costumi…
    Se analizziamo il
    linguaggio che usiamo per sostenere le nostre tesi o andare contro a
    quelle degli altri possiamo renderci conto di quanto la nostra
    supponenza nasconda un principio di razzismo che deve essere superato
    per vivere meglio e pensare ad un mondo in cui ogni persona trovi la
    propria dimensione liberandoci dall’oppressione del vincitore di
    turno.
    condividimi!