Seghe mentali
Un paio di anni fa sono stata ad un convegno di filosofia. E’ stata per me l’occasione di fare esperimenti sociologici su di loro. D’altronde chi è ricercatrice, ricerca sempre. Ovunque. Non è un lavoro, è un’occupazione. Mi ricordo che ad un pranzo ho chiesto a un ragazzo che avrà avuto venticinque anni perché facesse ricerca su un filosofo misconosciuto del Quattrocento. E lui mi ha risposto: “mi piace”. E io: “bene e poi?”.
Il piacere è un aspetto fondamentale del fare ricerca ma ci deve essere anche un legame con il presente. Altrimenti la ricerca rimane un esercizio intellettuale sterile. In quel contesto ho compreso il concetto di sega mentale. Che senso ha arrovellarsi il cervello su delle figure, su delle parole, su dei fatti se non hanno attinenza col presente? Che senso ha fare ricerca se non c’è un’applicazione all’oggi, alla nostra vita, al miglioramento delle nostre relazioni?
Questo episodio mi è tornato alla mente durante la lettura di Mary Daly e del suo Quintessenza. A un certo punto Mary fa un attacco al postmodernismo richiamando Virginia Woolf e il problema dello “spreco di tempo / spreco di energia”. I testi postmodernitsti sono frequentemente caratterizzati da un’inscrutabilità criptica che richiede un impiego di tempo e di energia non giustificabile in termini femministi. La seducente eleganza di stile e di riflessioni è dis-orientante e attira le femministe in una casa degli specchi senza vie d’uscita, in un drenaggio dell’intelligenza e nel tradimento della loro causa.
Molto più semplicemente le donne biologicamente non posso farsi prendere dalle seghe mentali, per quanto seducenti sono. Se le donne perdono il contatto con la realtà e partono in elucubrazioni mentali assumono la postura patriarcale. Succede sempre. Stamattina per esempio ho seguito i vari commenti su facebook relativi all’elezione del Presidente della Repubblica. A un certo punto mi sono detta: ma non c’erano delle candidate? Perché le mie amiche si stanno schierando per Marini o per Rodotà? Che senso ha? Sia ben chiaro, ma questo lo sapete già, a me non serve una Presidente che si comporti come la maggior parte degli uomini che l’hanno preceduta, a me serve qualcuna che abbia voglia di dare un colpo alla struttura. Nei giorni scorsi sono stati fatti nomi di donne e ora? Si risolve ancora tutto in accordi più o meno palesi tra partiti che escludono la presenza femminile. E le donne? Tutte quelle donne impegnate in politica, tutte quelle donne attive nei partiti, nei movimenti, che fanno? Si allineano? Ci sono solo due possibilità di scelta? C’è solo un pro e un contro che poi alla fine è sempre un contro noi donne?
L’attivismo femminista lavora per purificare le donne dal Coraggio di Vedere Nominare e Agire. Partiamo da qui.
La solidarietà femminile, un tesoro culturale e politico
Siamo in tempo di elezioni … ma dai? mica ce ne eravamo accorte … non si può più guardare la televisione, camminare per le città, interagire su facebook o altri siti senza essere investite da un inquinamento visivo e uditivo di candidati e candidate che richiedono la nostra attenzione per avere il nostro voto.
Una delle novità di queste elezioni sono **** le donne ****
Ci rendiamo conto? Più della metà della popolazione è considerata una novità il che la dice lunga sull’attenzione che il potere politico pone alla società di cui dovrebbe essere espressione.Sappiamo già che cosa penso rispetto ai partiti politici – vedete il post sul manifesto di Simone Weil e la soppressione dei partiti politici, appunto – tuttavia visto che mi pare lontana questa possibilità – e non basta cambiare i nomi per cambiare la sostanza delle cose [quindi per me anche i movimenti, collettivi, etc etc sono sostanzialmente partiti perché replicano la struttura piramidale del potere]. Il mio contributo attivo sarà quindi quello di dare qualche indicazione alle donne e agli uomini per cambiare il modo in cui gestiscono il Potere
Le donne credono che ascoltare e sostenere l’altra persona sia uno dei modi fondamentali attraverso cui si manifesta l’amore. Sentono che in un rapporto personale è fuori luogo essere competitive, distanti o emotivamente non in sintonia. La capacità di osservazione e di ascolto dei sentimenti interiori degli altri è una risorsa culturale enorme. I rapporti interattivi, che si fondano su tali capacità, rappresentano un buon modello per tutte le relazioni e anche per le istituzioni politiche e sociali;tuttavia si tratta di abilità potenzialmente pericolose per le donne in un rapporto personale non paritario in cui i loro bisogni emotivi non vengano appagati, per esempio quando un uomo fa il divo e la donna viene relegata a un ruolo secondario.
La disponibilità femminile è stata tanto ridicolizzata che oggi, purtroppo, molte donne cercano di reprimere questa e altre qualità a causa della grande pressione esercitata dalla società. Si pensi a situazioni come quelle che si verificano, per esempio, nel mondo del lavoro, dove si chiede loro di assumere un comportamento “più maschile” di “controllare i propri sentimenti”, di “non parlare troppo”, cioè di essere “assertive” per usare una parola oggi in voga.
Non staremmo tutti molto peggio se le donne non mettessero più a disposizione le loro qualità relazionali, quali la capacità di essere premurose, di sostenere l’altra persona e di prendersene cura, di giocare ad essere “lievi”?Invece di ridicolizzarle, la società dovrebbe apprezzarle. Gli uomini dovrebbero imparare a essere più affettuosi, a divertirsi di più e ad essere più aperti, più muliebri, meno rigidi e ipnotizzati dalla competizione maschile.
[Shere Hite – La solidarietà femminile, un tesoro culturale]Tenere aperta la scommessa [dedicato a Minerva]
In questi giorni di [gretta] campagna
elettorale ho sentito una definizione di politica che mi piace assaiPolitica è tenere aperta la
scommessaCos’è la scommessa?La scommessa è qualcosa che c’è ma
non c’è del tutto.È ciò che vorremmo che ci fosse.È la via di mezzo tra la disperazione
che ci immobilizza e la piena soddisfazione.Non affannatevi a ricercare nei
miliardi di dichiarazioni con cui i telegiornali, giornali, internet
ci bombardano l’esponente del partito politico che ha detto ciò.
Sono tutti così seri e serie [perché ci sono così tante donne
ormai] nel dire che agiscono per il bene comune. Per il nostro bene.
Scommettere pare un atto poco serio, superficiale, assurdo.Può scommettere chi non ha niente da
perdere. O meglio chi può perdere tutto. Perché questa non è la
società che vuole. Il mondo che vuole. Comportarsi come chi può
perdere tutto, perché aspira ad altro, desiderare, scommettere su
qualcosa di diverso è la via. E incamminandoci per questa strada
facciamoci accompagnare dalla fantasia. Cambiamo le regole del gioco,
giochiamo ai nostri giochi e non a quelli inventati da altre persone.
Spostiamoci, non facciamoci trovare. Senza paura di lasciare
qualcosa che sappiamo non ci appartiene.E *chiaramente* questo
ragionamento non è applicabile solo alla politica, intesa come
gestione del bene pubblico …La fetta di torta
Ci siamo. Di nuovo. O forse non ne
usciamo mai. Sempre in campagna elettorale, sempre visti come
elettori e da sessant’anni elettrici di improbabili candidati e
sempre più candidate, dato che vanno di moda le quote rosa. Ma
veramente pensiamo che sia sufficiente che entrino più donne nel
sistema politico perché questo cambi? Se il sistema è fallato,
marcio, perché non pensare a un sistema che corrisponda di più ai
nostri desideri? Un sistema in cui la rappresentanza sia reale e non
basata – soprattutto per le donne – sull’appartenenza sessuale.
Perché mai ho letto o sentito un uomo che diceva: “votatemi perché
sono uomo”.Qualche tempo fa ho letto un articolo
molto interessante di Lia Cigarini su Via Dogana n.82 che riporta un colloquio tra
nuora e suocera. La riporto perché apre alla possibilità di pensare
a un sistema diverso da quello in cui viviamo.“Interrogata dalla suocera, Claire
Lalone, sul movimento delle donne, com’era, che cosa voleva, ecc…
ad ogni domanda Grace Paley, grande scrittrice americana e
femminista, rispose che sì, ci sarebbero state donne avvocate, che
sì le donne avrebbero lavorato con stipendi pari a quelli degli
uomini e che si sarebbero finalmente liberate dagli uomini che le
comandavano a bacchetta, che sì, la gente avrebbe amato le figlie
femmine tanto quanto i figli maschi. Ma c’è dell’altro da dire,
aggiunse, e cioè che “la maggior parte delle donne del movimento
non voleva un pezzo della torta dell’uomo. Pensavano che quella era
una torta piuttosto velenosa, tossica, piena di armi, gas velenosi e
ogni tipo di ignobile porcheria, non ne volevano neanche una fetta di
quella torta”.“E’ moltissimo”, commentò allora
Claire Lalone.Se le candidate sono selezionate dai
partiti e passare attraverso le regole di carriera che essi
impongono, come potranno costruire un sistema diverso? Si tratta di
cambiare il sistema o di entrare nei luoghi di spartizione del
potere? E questa lotta, in cui si vive tra rapporti di forza,
pressione, mediazioni e legittimazione di un potere costruito nella
storia da un maschile patriarcale, ci interessa davvero?Troviamo un modo per pensare e
praticare forme di politica altre che corrispondono di più ai nostri
desideri e che migliorino il nostro stare al mondo e le nostre
relazioni. Invece di accontentarci di una fetta di torta già
cucinata da altri, scegliamo gli ingredienti per fare la nostra
torta!Af-fidarsi
Una delle situazioni in cui mi ritrovo
più spesso in questi giorni è il dover salvarmi dalla “polemica a
tutti i costi”. Sembra che ci debba essere sempre una
giustificazione per ciò che si dice, si fa, si prova. Come se
avessimo l’onere della prova su di noi. Come se si dovesse continuare
a dimostrare di essere nel giusto, di non aver fatto male a nessuno
intorno a noi. Nel frattempo continuo a fare ricerca. In questo
periodo mi sto occupando della ricostruzione biografica di una delle
più importanti psicologhe italiane, Angiola Massucco Costa. Nella
sua lunga vita, Angiola è stata consigliera comunale a Torino e
deputata, eletta nelle liste del Partito Comunista. Leggo i verbali
delle sedute del consiglio comunale alla ricerca dei suoi interventi
ed è inevitabile raffrontarli con la situazione politica attuale: un
po’ perché ne siamo costantemente immersi, un po’ perché la vivo su
me stessa con la nomina in commissione pari opportunità.E penso a cosa è cambiato. Si tratta
solo di ideologie cadute e non sostituite con qualcosa di altrettanto
forte o è come se si fosse rotto un patto tra chi viene eletta e chi
si candida?Tutto questo ragionare mi ha portato ad
una parola, ad un’azione simbolica che dovrebbe essere la regola del
genere umano e che invece viene meno: affidamento. Questo termine
fonda anche la relazione tra donne, l’elaborazione politica del
femminismo italiano. Il termine ricostruito nel simbolico positivo
che possiede può aiutarci anche a migliorare i rapporti tra noi e a
ridare un senso alla rappresentanza e all’azione politica.Nell’introduzione al libro “Non
credere di avere dei diritti”, le autrici appartenenti alla
Libreria delle donne di Milano dichiarano che lo scopo del testo è
“la necessità di dare senso, esaltare, rappresentare in parole e
immagini il rapporto di una donna con una sua simile”.Si tratta di un venire al mondo di
donne legittimate dal riferimento alla loro origine femminile,
nonostante il fatto che il rapporto tra donne non abbia una storia. A
poche donne viene insegnata la necessità di curare specialmente i
rapporti con altre donne e di considerarli una risorsa insostituibile
di forza personale, di originalità mentale, di sicurezza sociale.Nelle molte lingue di una cultura
millenaria non c’erano nomi per significare una simile relazione
sociale, come nessun’altra relazione fra donne per se stesse.
Decidono quindi di chiamarlo “affidamento”.“Il termine “affidamento” ha in
sé la radice di parole come fede, fedeltà, fidarsi, confidare. Però
può non piacere perché rimanda ad un rapporto sociale che il nostro
diritto prevede fra adulto e bambino. Quel tirarsi indietro davanti a
una parola in sé bella, solo per l’uso che altri ne fanno, viene
visto come un sintomo di impotenza davanti al già pensato da altri,
in questo caso il già pensato circa i rapporti tra bambini e adulti,
e quello che sarebbe o non sarebbe conveniente all’età adulta di una
donna”.“Avere delle interlocutrici magistrali
è più importante che avere dei diritti riconosciuti.
Un’interlocutrice autorevole è necessaria se si vuole articolare la
propria vita in un progetto di libertà e darsi così ragione del
proprio essere donna. La mente femminile senza collocazione simbolica
ha paura. Si trova esposta a fatti imprevedibili, tutto le capita
dall’esterno nel corpo. Non sono le leggi e neanche i diritti che
danno a una donna la sicurezza che le manca. L’inviolabilità una
donna può acquistarla con un’esistenza progettata a partire da sé e
garantita da una socialità femminile.”A partire da queste frasi che sento
forti dentro di me, che pratico ogni giorno e che mi hanno permesso
di creare rapporti forti, di riuscire a confliggere senza avere paura
di perdere il rispetto o l’amicizia delle persone con cui mi
confronto, mi chiedo perché si continua a porre l’accento sulla lite
tra donne? Dove è finito il sentimento della sorellanza? Siamo
sorelle solo di donne con cui condividiamo un orientamento politico –
o meglio partitico – in questa politica dei partiti che si sta
mangiando tutto e soprattutto la nostra libertà di espressione?
Quanto è forte oggi il bisogno di ogni donna di trovare fra sé e il
mondo una mediazione fedele in un’altra simile? Quanto il guadagno di
ogni diventa per se stessa, diventa guadagno per tutte invece di
generare invidia?La politica delle donne – Ada Natali e il dissenso dal Patto Atlantico
Da ieri è un rincorrersi di notizie
sulla bomba di Brindisi. Anche se una persona non avesse la
televisione in casa (aspettando gli “approfondimenti” dei vari
talk show da domani all’infinito) facebook si è riempito all’istante
di foto, parole, pensieri in ricordo di Melissa. Ma soprattutto si è
riempito di parolacce, minacce, associazioni mentali su chi possa
essere stato il colpevole. Serpeggia il bisogno – espresso o
inespresso – di trovare il colpevole, il capro espiatorio che possa
portare via tutte le colpe e nello stesso tempo renderci immuni dal
fatto di essere noi colpevoli. Certo non è mia intenzione scrivere
che siamo tutti e tutte potenzialmente assassini e assassine, ma
quanto male facciamo a chi ci circonda e anche a chi vive più in là
del nostro sguardo quando non privilegiamo la relazione? Quando ci
muovono gli interessi – più o meno giustificati – come possiamo
pensare di creare relazioni sane? Quando solleviamo polemiche –
molto spesso inutili – come possiamo essere sicuri e sicure che
l’energia prodotta non faccia male a qualcuno o a qualcuna?Proprio per questo motivo, aldilà
delle polemiche che leggo ovunque e che cresceranno in modo
esponenziale – voglio dare il mio contributo con un pensiero tratto
dal primo numero dei quaderni “Storia delle Marche in età
contemporanea” dell’Associazione di Storia Contemporanea
dell’Università di Macerata. Tra i vari saggi mi ha colpito quello
di Eleonora Marsili dedicato alla prima sindaca italiana – ADA
NATALI -.Ada Natali fece parte anche della prima
legislatura e nella sua attività politica pose il problema della
tutela delle donne che diventavano madri. Ciò che mi interessa
condividere ora è il discorso tenuto il 16 marzo 1949 quando Ada
Natali espresse la propria volontà di votare contro il Patto
Atlantico. Non credeva alle parole del Governo che presentava il
Patto Atlantico con scopi pacifici: lo considerava invece un patto di
guerra che avrebbe sancito l’effettiva liquidazione dell’ONU, unica
organizzazione per la collaborazione internazionale e la
realizzazione della pace nel mondo.“Signori, in nome delle donne da me
rappresentate, in nome di tutti i bambini, di tutti gli umili e i
semplici, non solo delle Marche ma di tutta Italia, io vi invito a
riflettere su quanto state per fare! Grande è la vostra
responsabilità; ascoltate il monito che a voi sale e da questi
banchi e da tutto il Paese! L’umanità è stanca di dolori e di odio;
non imbrancatevi in guerre fratricide; fate sì che il popolo
italiano tenda la sua mano ai popoli di tutto il mondo, e cooperate
alla felicità degli umili, dando pane, pace e lavoro! Ove questo voi
non facciate, noi ci opporremmo con tutte le nostre forze a che il
nostro Paese e gli altri paesi, ove si lavoro e si soffre, non siano
nuovamente devastati dalla vostra guerra inutile e criminale”.Queste parole che oggi potremmo
applicare facilmente all’Unione Europea e a tutti i patti economici
dissodate dall’oscurità in cui stanno riposando possono costituire
una genealogia femminile utile alle donne che decidono di entrare
nelle istituzioni per cambiare questo modello di potere
individualistico e non relazionale che ci vendono come l’unico
possibile e praticabile.Qual è la riforma del lavoro che veramente vogliamo? (omaggio a Simone Weil)
In questi giorni telegiornali e quotidiani ci riempiono di un’ansia che culminerà con il tanto atteso (?!) accordo sulla riforma del mercato del lavoro. Atteso da chi? sarebbe la prima domanda … a cui facilmente si può rispondere atteso da tutte le parti in gioco (politica, sindacati, lavoratori, lavoratrici, aspiranti lavoratori e aspiranti lavoratrici). Anche dall’estero – ci dicono – guardano con attenzione ciò che accade in Italia… Più che sull’attesa, che dò per scontata, vorrei concentrare l’attenzione sul tipo di relazione che si crea tra le varie parti in gioco. Ci sarà uno scontro basato sui rapporti di forza o si penserà veramente al benessere delle persone?
Qualche tempo fa ho letto il libro di Simone Weil, La prima radice. Alcune considerazioni relative allo sradicamento operaio sono una lente di ingrandimento rispetto a ciò che succede oggi.
Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana. E’ tra i più difficili da definire. Mediante la sua partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una collettività che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro, l’essere umano ha una radice. Partecipazione naturale, cioè imposta automaticamente dal luogo, dalla nascita, dalla professione, dall’ambiente. A ogni essere umano occorrone radici multiple. Ha bisogno di ricevere quasti tutta la sua vita morale, intellettuale, spirituale tramite gli ambienti cui appartiene naturalmente.
La condizione del salariato – completamente e perpetuamente legata al denaro – costringe ad essere sempre tesi mentalmente alla busta paga operando uno sradicamento morale delle persone. I salariati sono esiliati e poi riammessi di nuovo, quasi per tolleranza, come carne da lavoro. La disoccupazione è uno sradicamento alla seconda potenza perché le persone non si sentono in casa propria né in fabbrica, né nelle loro abitazioni, né nei partiti e sindacati che si dicono fatti per loro, né nei luoghi di divertimento, né nella cultura intellettuale.
Lo sradicamento è di gran lunga la più pericolosa malattia delle società umane, perché si moltiplica da sola. Le persone realmente sradicate non hanno che due comportamenti possibili: o cadere in un’inerzia dell’anima quasi pari alla morte o gettarsi in un’attività che tende sempre a sradicare, spesso con metodi violentissimi, coloro che non lo sono ancora o che lo sono solo in parte.
Che cosa giova agli operai ottenere con le loro lotte un aumento dei salari ed una disciplina meno dura se contemporaneamente in qualche ufficio, gli ingegneri, senza alcuna intenzione malvagia, inventano macchine destinate ad esaurirli corpo ed anima o ad aggravare le difficoltà economiche? Che cosa servirebbe loro la nazionalizzazione parziale o totale dell’economia, se lo spirito di quegli studi non mutasse? Finora i tecnici non hanno mai avuto altra finalità oltre quella delle esigenze produttive. Se cominciassero ad avere sempre presenti allo spirito i bisogni degli operai, tutta la tecnica produttiva dovrebbe a poco a poco essere trasformata.
Chi cerca di compiere dei progressi tecnici dovrebbe avere continuamente fissa nel pensiero la certezza che, fra tutte le carenze che ci sono nella produzione, lo sradicamento operaio è quella più diffusa. La materia esce nobilitata dalla fabbrica, gli operai ne escono avviliti. Si può porre rimedio a questa situazione? Questo pensiero dovrebbe far parte del sentimento del dovere professionale e di quell’onore professionale che chiunque abbia compiti di responsabilità in un paese e in un’industria dovrebbe possedere.
Uno dei doveri essenziali dei sindacati operai, se ne fossero capaci, sarebbe quello di far penetrare un’idea simile nella coscienza universale. Se la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici diventasse pressapoco felice, non pochi problemi apparentemente essenziali e angosciosi sarebbero non solo risolti, ma aboliti. L’infelicità è un brodo di coltura per falsi problemi. Fa nascere ossessioni. Il mezzo per placarle non è di dare quel che esse pretendono, bensì di far sparire l’infelicità.
Ora io mi chiedo: perché pensieri come quelli di Simone Weil non sono alla base dei nostri ragionamenti sulla società? Perché rimane confinata tra poche persone – soprattutto donne – e non viene citata, ripresa, adattata all’oggi? Che almeno questo post le possa fare da cassa di risonanza, piccolo contrappeso alla stazza degli altri filosofi che infestano la politica e le relazioni tra le persone.