• Nutrire il pianeta ovvero se hanno pensato che questa è nutrizione siamo spacciati!

    Lunedì ho passato tutta la giornata a
    Rho Fiera Milano a Expo 2015. Non che smaniassi dalla voglia di
    andarci, ma l’ho fatto per accompagnare i miei genitori e per toccare
    con mano le criticità di cui tanto si è sentito parlare in questi
    mesi. Per provare poi, a qualche giorno di distanza, a scrivere un
    articolo da condividere qui.
    In sintesi questo è ciò che ho visto
    io dell’Expo: stand architettonicamente meravigliosi con alcune
    soluzioni degne delle migliori archistar a livello mondiale e un
    lavoro di marketing e di pubblicizzazione dei vari paesi in ottica
    turistica. I vari stand hanno gareggiato per rendersi appetibili a
    una visita ma concentrando l’attenzione sull’attrazione non certo
    sulla logistica e sul benessere.
    In un’esposizione mondiale che aspira a
    20 milioni di visitatori (ossia con un calcolo approssimativo 111.000
    spettatori al giorno circa su un periodo di sei mesi) ci si
    aspetterebbe un accurato lavoro di logistica. E invece no. Non
    importa che ci sia un ammasso di persone di ogni età e nazione che
    vagano per il decumano o si mettono in fila aspettando (sotto il sole
    o la pioggia) ore in attesa.
    In attesa di cosa? In attesa di chi?
    Pensando di fare un’Expo intelligente
    ho evitato tutti i padiglioni più gettonati ma mi sono ritrovata a
    fare due ore di coda per entrare nel padiglione del Cile. Due ore di
    coda per vedere due filmati di promozione turistica che avrei potuto
    vedere comodamente a casa e che niente hanno aggiunto a ciò che
    avrei potuto trovare tramite Google sul cibo in Cile.
    Perché si formano le code? Certo
    perché ci sono molte persone. Hanno scritto che gli italiani si
    svegliano sempre tardi e che alla fine, pur di postare una foto con
    l’albero della vita, si fanno code immense. Ma non credo sia del
    tutto vero. Come si fa, citando l’esempio del tanto agognato
    Giappone, creare un percorso di 50 minuti? Come possiamo dare la
    possibilità di accedere alla maggior parte delle persone se il
    percorso è così lungo e richiede attese estenuanti? Ci si deve
    pensare. Bisogna capire quali sono gli obiettivi e poi lavorare
    intorno a essi.
    Se tra i padiglioni più gettonati ci
    sono il Kazhakistan, gli Emirati Arabi, la Cina e il Giappone vuol
    dire che il tema del cibo è solo un pretesto. Chi ha mai assaggiato
    una ricetta del Kazhakistan? Chi non è consapevole dei problemi
    politici, sociali e civili che ci sono con i paesi arabi o le
    polemiche con la presenza dei cinesi in Italia? Eppure le persone si
    mettono in coda ora per vedere questi stand. Certo, un po’ di questa
    situazione è dovuta allo spirito di emulazione, al vedere se davvero
    ne valeva la pena, ma sicuramente una buona ragione della visita è
    dovuta alla spettacolarità del padiglione e delle attrazioni
    presenti.
    Proprio a proposito degli obiettivi,
    fino a ora, consapevolmente, ho lasciato da parte il tema centrale di
    Expo 2015 ossia il cibo. Anche qui nei mesi scorsi ho letto polemiche
    su polemiche rispetto ai costi del cibo, pensando che Expo fosse più
    una fiera di paese dove ti ingozzi e sei felice e soddisfatto. Non è
    così hanno scritto. Ciò che vuole passare è un messaggio critico
    sul consumo di cibo. E allora via di polemica con la partecipazione
    delle multinazionali che “nutrono loro stesse e non il pianeta”.
    Io di cibo ne ho trovato ben poco, negli allestimenti degli stand il
    cibo era presente (sotto forma di alimento o di ricette tipiche)
    quasi esclusivamente come richiamo turistico. Difficilmente ho
    trovato padiglioni che trattassero la questione cibo in modo critico.
    Nei 21 padiglioni che ho visitato
    l’unica eccezione è stata la Francia che ha proposto un video in cui
    si racconta come l’agricoltura tradizionale di un contadino africano
    sia stata modificata dai mercati finanziari globali che lo rendono
    all’inizio più ricco ma lo inducono a cambiare coltivazione (dal
    mais al cotone) fino a quando il prezzo del cotone scende affamando
    lui e la sua famiglia. Video molto interessante ma che si perde nel
    delirio collettivo dell’esposizione. Perché alla fine Expo diventa
    una corsa a vedere più padiglioni possibili, una lotta contro il
    tempo che è figlia del consumismo che attanaglia la società
    capitalistica e che, per ciò che ho potuto vedere rimane modello
    appetibile per i cosiddetti paesi in via di sviluppo.
    Mentre visitavo stand di paesi come la
    Costa d’Avorio e l’Angola mi chiedevo come è possibile che non ci
    sia nessun riferimento all’imperialismo europeo, nessun retaggio
    dell’asservimento economico tutt’ora in corso? Tutto cancellato,
    dall’esposizione turistica (paradisi terrestri, esotici) e/o dalla
    retorica del marketing più spinto in cui i termini si rincorrono di
    padiglione in padiglione facendo perdere la caratterizzazione dei
    vari Stati in una vera e propria globalizzazione della parola.
    Tutti i paesi partecipanti all’Expo vi
    hanno portato la loro faccia migliore, dimenticando che il cibo è
    anche e soprattutto cultura e ogni società l’ha declinato in maniera
    differente. Questa è la scommessa che Expo 2015 ha perso dal mio
    punto di vista.
    E se sommo le difficoltà di logistica
    credo che l’obiettivo espresso dal sottotitolo sia molto lontano
    dall’essere raggiunto. Se è questa l’idea degli organizzatori e dei
    partecipanti siamo messi proprio male. La mia esperienza di
    visitatrice è stata molto più aderente a un sistema liberistico che
    a un’inversione di rotta, anche se in molti stand ci sono scritte che
    rimandano alla crisi ambientale dei prossimi anni. Sicuramente
    mancano le soluzioni. I cartelli di impegno lungo il decumano sono
    scritti con una retorica tale che mancano totalmente la
    consapevolezza di ciò che ci sta accadendo e del valore che il cibo
    ha assunto nella società capitalistica occidentale.  
    Per non essere troppo negativa condivido la foto di Dewi Sri, Dea del Riso e della Fertilità presente nello stand dell’Indonesia che mi ha riportato alla sacralità del rapporto tra gli esseri umani e la Madre Terra.
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