Fate l’amore non fate la guerra
Ieri era la giornata delle Forze Armate.
Ha fatto molto scalpore la presa di posizione del sindaco di Messina, Renato Accorinti, il cui discorso è stato un inno alla pace. Nelle sue parole Renato ha citato il Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini “Svuotate gli arsenali fonti di morte e riempite i granai fonti di vita!” e l’articolo 11 della Costituzione Italiana dove si legge “L’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali
[…]”.
Da ieri è un susseguirsi di commenti a favore e contro il gesto.
Chi dice che non era il luogo adatto anche se condivide.
Chi disapprova.
Chi applaude al gesto e al coraggio.
Chi è indignato per il sangue dei tanti uomini e delle tante donne versato per la “nostra” difesa.Il Ministro per la Pubblica Amministrazione e Semplificazione Gianpiero D’Alia commenta il gesto del sindaco come “provocazione demenziale e inopportuna”.
Ma come si può condividere questa affermazione? Veramente inneggiare alla pace può essere una provocazione demenziale e inopportuna?
Probabilmente sì se lo si fa durante la celebrazione delle Forze Armate. Probabilmente sì se lo si fa durante una cerimonia ufficiale. Se si osa contestare l’ordine costituito. E se lo si fa da dentro quest’ordine.
Poi c’è la denigrazione del gesto. Oltre all’offesa. Pare che il sindaco si sia scordato nel suo gesto di tutti quei militari che muoiono nelle missioni di pace! E’ un ingrato.
Ma io mi chiedo: come è possibile attuare questa inversione di pensiero? Come è possibile che la locuzione “missioni di pace” renda onorabile l’intervento armato in luoghi dotati di sovranità riconosciuta dallo Stato Italiano? Perché i militari doneranno caramelle, aiuteranno i feriti e faranno sorrisi alla popolazione ma lo fanno sempre armati fino ai denti, con le tute mimetiche e il mitra sotto il braccio!
Fino a quando si esalterà paura e violenza la maggior parte delle persone richiederà la protezione delle Forze Armate. C’è bisogno quindi di riequilibrare l’immaginario che ci circonda. Io lo faccio con il libro di una mia amica, Anna Bravo, che si intitola La conta dei salvati. Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato.
Riporto un piccolo riassunto del contenuto.
È un’idea malsana che quando c’è guerra c’è storia, quando c’è pace no.
Il sangue risparmiato fa storia come il sangue versato.Si parla e si scrive molto di guerre, di eccidi e di violenze. È il
racconto del sangue versato. Ma non saremmo qui se qualcuno non avesse
lavorato per risparmiare il sangue. Le storie raccontate nel libro mostrano due verità. La prima: il sangue può essere risparmiato anche da
chi non ha potere, o ha un potere minimo. La seconda: se è importante
raccontare una guerra, ancora più importante è descrivere come un
conflitto non è deflagrato. Per capire come si può fare, e con che mezzi.Questo è un modo diverso di fare la storia. E di raccontarla.
Democrazia III ovvero quanto ci possono insegnare le culture indigene
Dopo aver parlato degli Stati Uniti e dell’Italia voglio condividere alcuni articoli della costituzione boliviana che danno l’idea di come un paese possa riconoscere nelle proprie differenze una fonte di meravigliosa ricchezza e di potenziale espressivo che difficilmente esiste in quelle che nel nostro immaginario sono le democrazie vere e proprie …
http://www.asud.net/file/COSTITUZIONE_BOLIVIA_2008.pdf
il preambolo riconosce che lo stato politico si inscrive in quello fisico e nella storia delle persone “In tempi immemorabili si innalzarono montagne, si formarono fiumi e laghi. La nostra Amazzonia, il chaco, l’altipiano e le nostre pianure e valli si coprirono di verde e di fiori. Abbiamo popolato questa sacra Madre Terra con volti differenti, comprendendo la pluralità delle cose e la nostra diversità in quanto esseri umani e culture. In questo modo si sono formati i nostri popoli, e mai abbiamo compreso il razzismo che abbiamo sofferto sin dai tempi luttuosi della colonizzazione né mai lo comprenderemo”.
TITOLO I
BASI FONDAMENTALI DELLO STATOArticolo 2 Data l’esistenza precoloniale delle nazioni e popoli indigeni contadini originari, e il loro dominio ancestrale sul proprio territorio, si garantisce la loro autodeterminazione nella cornice dell’unità dello Stato, che consiste nel loro diritto all’autonomia, all’autogoverno, alla cultura, al riconoscimento delle loro istituzioni
e al consolidamento delle loro entità territoriali, in accordo con questa Costituzione e con la legge.Articolo 3 La nazione boliviana è costituita dalla totalità delle boliviane e dei boliviani, dalle nazioni e popoli indigeni originari, contadini e dalle comunità interculturali e afroboliviane, che congiuntamente costituiscono il popolo boliviano.
Articolo 8 I. Lo Stato assume e promuove come principi etici e morali della società plurale: ama qhilla, ama llulla, ama suwa (non essere pigro, non essere bugiardo, non essere ladro), suma qamaña (vivere bene),
ñandereko (vita armoniosa), teko kavi (buona vita), ivi maraei (terra senza male) e qhapaj ñan (cammino o vita nobile).II. lo Stato si regge sui valori di unità, uguaglianza, inclusione, dignità, libertà, solidarietà, reciprocità, rispetto,
complementarietà, armonia, trasparenza, equilibrio, uguaglianza di opportunità, equità sociale e di genere nella partecipazione; benessere comune, responsabilità, giustizia sociale, distribuzione e redistribuzione dei
prodotti e dei beni sociali per vivere bene.