Freya Stark, viaggiatrice instancabile
In provincia di Treviso c’è il piccolo borgo di Asolo, città dai mille orizzonti, che nella propria autonarrazione si definisce spesso come città delle donne. Perché? Perché ci hanno abitato donne famose che possiamo conoscere visitando il Museo di Asolo: Caterina Cornaro, Regina di Cipro, l’attrice teatrale Eleonora Duse e la viaggiatrice Freya Stark (Parigi, 31 gennaio 1893 – Treviso, 9 maggio 1993).
«Non so dire cosa sia diventata Asolo e la mia casa. Non posso che credere che lì aleggi una sorta di gentilezza, una qualche essenza di vita che rende felici. Asolo è come una culla e io sono felice di starci dentro seguendo il dondolio del mondo» (Freya Stark)
Il desiderio di viaggiare e il fascino per l’Oriente nascono in Freya Stark dopo aver ricevuto in regalo Le Mille e una Notte per il suo nono compleanno. In seguito studierà arabo e persiano all’Università di Londra. Nel 1928 Freya Stark si imbarca su una nave per Beirut iniziando i suoi viaggi in Oriente e viaggiando per tutta la vita in Libano, Iraq, Iran, Arabia, Turchia e Afghanistan. Nel 1933 riceve il premio della Royal Geographical Society per aver tracciato nuove vie in luoghi inesplorati nel deserto dell’Iran occidentale. Durante la seconda guerra mondiale lavora per il Ministero dell’Informazione britannico creando la rete Ikhwan al Hurriya (Confraternita della Libertà) mirata a persuadere gli arabi a sostenere gli Alleati o almeno alla neutralità. Alle varie spedizioni Freya Stark ha unito l’attività di scrittura lasciandoci molti libri dei suoi viaggi in Medio Oriente e alcune autobiografie.
«Se mi si chiedesse di elencare i piaceri del viaggio, direi che questo è uno dei più importanti: che così spesso ed inaspettatamente si incontra il meglio della natura umana, e vederlo così, di sorpresa e spesso in situazioni talmente improbabili, si arriva, con un piacevole senso di gratitudine, a realizzare quanto ampiamente siano sparse nel mondo la bontà e la cortesia e l’amore per le cose immateriali, che fioriscono in ogni clima, su qualsiasi terreno.» (Freya Stark, La valle degli assassini)
«Viaggiare significa ignorare i fastidi esterni e lasciarsi andare interamente all’esperienza, fondersi con tutto quello che ci circonda, accettare tutto quello che succede e così, in questo modo, fare finalmente parte del paese che si attraversa. È questo il momento in cui si avverte che la ricompensa sta arrivando». (Freya Stark)
Le marce per il voto negli Stati Uniti
Il diritto di voto (attivo e passivo) per le donne è stata una vera e propria conquista in qualunque paese, anche in quelli che oggi pensiamo più avanzati in termini di democrazia e diritti per le donne. Per esempio negli Stati Uniti dalla Convention di Seneca Falls del 1848 da cui uscì la famosa Dichiarazione dei Sentimenti, si deve aspettare il 18 agosto 2020 per il XIX emendamento relativo al suffragio femminile. Sì quest’anno (siamo nel 2020!) il diritto di voto negli Stati Uniti compie i suoi primi 100 anni e per l’occasione verrà inaugurata la prima statua di personagge storiche a Central Park a New York.
In tutti questi decenni le donne fanno molte dimostrazioni pubbliche per rivendicare i propri diritti, come per esempio le suffrage hikes (marce per il suffragio). Il 16 dicembre 1912 parte la prima marcia da Manhattan ad Albany. Vengono percorsi 273 chilometri in tredici giorni, affrontando le avversità atmosferiche, incluse pioggia e neve durante il percorso. Durante il percorso, le suffragiste distribuiscono volantini e tengono discorsi.
Le maggiori partecipanti alle marce, e le sole che coprirono l’intera distanza, furono la giornalista Emma Bugbee, Ida Craft, Elisabeth Freeman, e Rosalie Gardiner Jones, l’organizzatrice della marcia.
Adele Bei, la prima senatrice della Repubblica Italiana
Sono passati pochi giorni dall’1 maggio, Festa del Lavoro come viene chiamata oggi, ma anche giornata per fare il punto sulle questioni lavorative. E allora voglio ricordare la sindacalista e politica Adele Bei (4 maggio 1904 – 15 ottobre 1976). Adele si iscrive al PCI nel 1925, riparata in Francia è arrestata nel 1933 durante uno dei rientri clandestini in Italia e condannata dal Tribunale speciale a 18 anni di reclusione ne sconta dieci nel carcere femminile di Perugia. Durante il processo i giudici fascisti per convincerla a denunciare i compagni cercarono di speculare sui suoi sentimenti di madre, ricordandole i figli rimasti in Francia. La risposta di Adele fu molto determinata: “non pensate alla mia famiglia, qualcuno provvederà; pensate invece ai milioni di bambini che, per colpa vostra, stanno soffrendo la fame in Italia”.
Nel 1943 entra nella Resistenza romana col compito di organizzare le masse femminili e i giovani e con compiti di collegamento con la formazione che operava sui monti della Tolfa. Dopo la Liberazione sarà l’unica donna a far parte della Consulta nazionale su designazione della Cgil di cui è una delle responsabili della Commissione femminile nazionale. Eletta all’Assemblea costituente nelle liste del PCI, nella I legislatura è senatrice di diritto per meriti antifascisti (unica donna).
Deputata comunista nelle Marche fino al 1963, si è sempre occupata dei problemi delle lavoratrici. Nel 1951 diventa la responsabile del Sindacato nazionale tabacchine, e successivamente segretaria generale. Sarà anche presidente dell’Associazione nazionale delle donne contadine.
Quando con il decreto governativo del 4 agosto 1945 vengono licenziate 4.000 avventizie delle Ferrovie dello Stato per far posto ai reduci Adele Bei si mette a capo della protesta delle lavoratrici, e il licenziamento viene ritirato, anche se per i reduci sono riservati per il biennio successivo il 50% delle assunzioni private e pubbliche, penalizzando quindi le donne. E durante il Congresso della CGIL alla presentazione della Carta delle lavoratrici che impegna la Camera del Lavoro a difendere il diritto al lavoro delle donne, controllare che fossero abolite le discriminazioni nei concorsi, tutelare le fasce deboli del mercato del lavoro e affermare il principio “ a lavoro uguale, uguale retribuzione” Adele Bei rimprovera a Giuseppe Di Vittorio di aver omesso, nella relazione introduttiva, il “problema femminile”. Dice di essere la portavoce di 5 milioni di lavoratrici che le hanno dato il mandato di rappresentarle e insiste sull’unità sindacale come unità tra uomini e donne: “abbiamo ancora troppe poche donne interessate alla vita sindacale e negli organismi dirigenti sindacali. Abbiamo soprattutto troppa incomprensione in mezzo alla massa dei lavoratori che dovrebbero essere il sostegno di queste donne lavoratrici sfruttate e oppresse”.
Adele Bei fu molto attenta anche all’uso di un linguaggio non sessista: si definiva senatrice e parlava delle tabacchine come “lavoratrici” e non usando il generico e consueto “lavoratori”. Una decina di anni dopo la morte di Adele, nel 1987 il gruppo di studio guidato da Alma Sabatini scrisse le Raccomandazioni per un Uso Non Sessista della Lingua Italiana. Nella premessa si legge “L’uso di un termine anziché di un altro comporta una modificazione nel pensiero e nell’atteggiamento di chi lo pronuncia e dunque di chi lo ascolta. La parola è una materializzazione, un’azione vera e propria. È altrettanto chiaro che il valore semantico è strettamente legato al contesto linguistico ed extralinguistico in rapporto dinamico”. Adele Bei è stata un’anticipatrice di queste riflessioni molto attuali ancora oggi.
Sojourner Truth e l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti
Il 2 dicembre di ogni anno si celebra la Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù. La data è stata scelta per ricordare il 2 dicembre 1949, data di approvazione da parte dell’Assemblea generale dell’ONU per la repressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione altrui. Voglio quindi raccontare di una donna che ha fatto molto per l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti e che però è poco conosciuta a livello internazionale: Sojourner Truth.
Sojourner nacque schiava e allora si chiamava Isabella Bomfree. Dopo la morte del primo padrone, fu venduta quattro volte e sottoposta a duro lavoro fisico, stupri e punizioni violente. Ancora adolescente venne fatta sposare con un altro schiavo, molto più anziano di lei, da cui ebbe 5 figli. Nel 1827, un anno prima della abolizione della schiavitù per lo stato di New York, Sojourner prende la figlia Sophia e scappa da una famiglia abolizionista che la riscatta per 20 dollari. Come donna libera diventa un’oratrice e cambia appunto il suo nome in Sojourner Truth (la verità di Sojourner).
Come predicatrice itinerante incontra diversi abolizionisti e attiviste per i diritti delle donne, tra cui Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony, abbracciandone gli obiettivi.
Nel 1851, Sojourner inizia un tour di conferenze che includeva dei passaggi sui diritti delle donne e ad Akron, in Ohio, tiene il il famoso discorso “Ain’t I a Woman?” (Non sono forse una donna?) nel quale sfida gli stereotipi prevalenti di inferiorità e disuguaglianza razziale e di genere.Quell’uomo laggiù dice che una donna ha bisogno di essere aiutata a salire in carrozza e sollevata attraverso i fossi e ha bisogno di avere ovunque il posto migliore.
Nessuno mi ha mai aiutata a salire in carrozza o ad attraversare pozzanghere di fango o mai mi ha dato un posto migliore…
E non sono io forse una donna?
Guardami! Guarda il mio braccio!
Ha arato e seminato e riempito i granai e nessun uomo poteva tenermi testa…
E non sono io forse una donna?
Potevo lavorare tanto e mangiare quanto un uomo quando riuscivo a mangiare e sopportare anche la frusta.
E non sono io forse una donna?
Ho fatto nascere 13 figli e li ho visti venduti quasi tutti come schiavi e quando ho gridato il dolore di una madre
nessuno mi ha ascoltato se non Gesù…
E non son io forse una donna?
Quell’ometto vestito di nero dice che
una donna non può avere gli stessi diritti di un uomo perché Cristo non era una donna.
Da dove è arrivato il tuo Cristo? Da Dio e una donna!
L’uomo non ha avuto nulla a che fare con lui!
Se la prima donna che Dio ha creato
è stata forte abbastanza da capovolgere il mondo tutta sola, insieme le donne dovrebbero essere capaci di rivoltarlo ancora dalla parte giusta.Sojourner parla ripetutamente in pubblico di abolizione della schiavitù, dei diritti delle donne, di riforma del sistema carcerario e si appella al parlamento del Michigan per l’abolizione della pena di morte. Nel frattempo aiuta gli schiavi a fuggire verso la libertà e quando inizia la guerra civile americana, esorta i giovani afroamericani a unirsi alla causa dell’Unione organizzando le forniture per le truppe.
Alessandrina Ravizza, patronessa socialista
Uno dei campi della società nei quali le donne sono sempre state presenti è quello legato al welfare state. Anzi per certi versi sono proprio loro a sostenerlo ancora oggi (insieme alle persone in pensione, cosiddette fuoriuscite dal sistema produttivo). In una visione sessista e patriarcale della società agli uomini spetta il lavoro di produzione (remunerato, sottoposto a orari e tutele) alle donne il lavoro di cura (gratuito, senza orario e tutele).
Tuttavia, il lavoro di cura può essere una via per l’emancipazione femminile. E sono molti gli esempi nella Storia che possono esserci di ispirazione. Dopo l’Unità d’Italia uno dei profili più interessanti per quanto riguarda la filantropia e l’istituzione di luoghi per emarginati/poveri/donne è Alessandrina Ravizza (1846-1915) che dedica la propria vita alla creazione di numerose iniziative riformiste e vari istituti pionieristici nel campo dell’assistenza: la Scuola professionale femminile, a fianco di Laura Solera Mantegazza, di cui diventerà presidente. In cinque anni Alessandrina Ravizza portò la “scuoletta” a diventare un’impresa modello che da sette allieve passò a averne 170. Le ragazze ricevevano una buona qualificazione che permetteva loro di trovare facilmente un lavoro, imparavano infatti materie non insegnate in altri istituti, come computisteria, merceologia, disegno industriale.
Partecipa inoltre alla creazione della Scuola laboratorio per adulti e bambini sifilitici al Protettorato per adolescenti, della Cucina per ammalati poveri, del Magazzino cooperativo benefico e dell’Ambulatorio medico gratuito, che offriva anche assistenza ginecologica alle donne più povere, nel quale prestarono la loro collaborazione le prime mediche Emma Modena e la più famosa Anna Kuliscioff che era stata rifiutata dall’Ospedale Maggiore perché donna.
“Essendo vecchia e proprio giunta ai piedi del… muro, considero questo scritto che raccoglie fatti veri, vissuti, dolori infiniti, schianti inauditi…come una specie di testamento morale. Non sono una scrittrice, ho lo stile più cosacco che italiano. Ma credo che chi non sia del tutto scettico, se fermerà la sua attenzione sull’epistolario che ho raccolto, potrà accettare il lavoro così com’è e pensare quanto sia la fiumana della sventura, come povera, quanto nulla sia la previdenza sociale. Sono giunta al punto in cui non mi occorrono lodi; ma sento sempre più vivamente la sete d’imparare e di comprendere ciò che vedo. Alla Casa di Lavoro ho visto tanto e ho tanto imparato. In essa ho cercato più di agire che di parlare… […] Sono viandanti della sfortuna che giungono alla Casa di Lavoro, si fermano, poi si rincamminano per la propria via; e pur troppo questa conduce spesso all’ospedale, al manicomio, all’ergastolo” (Alessandrina Ravizza, Sette anni di vita della casa di Lavoro – memorie indedite, coop. Tipografia degli operai – Milano via Spartaco 6 – pubblicate per cura della Società Umanitaria).
Partecipa inoltre alla creazione della Scuola laboratorio per adulti e bambini sifilitici al Protettorato per adolescenti, della Cucina per Malati poveri, del Magazzino cooperativo benefico e dell’Ambulatorio medico gratuito, che offriva anche assistenza ginecologica alle donne più povere, nel quale prestarono la loro collaborazione le prime mediche Emma Modena e la più famosa Anna Kuliscioff che era stata rifiutata dall’Ospedale Maggiore perché donna.
Alessandrina Ravizza aderisce inoltre alla Lega femminile milanese e poi alla Società pro suffragio, che si batteva per il voto alle donne. Con Ersilia Majno è stata tra le organizzatrici dell’Unione Femminile Nazionale, collaborando anche al periodico dell’associazione “Unione femminile”.
Successivamente è tra le promotrici dell’Università popolare per un sapere universale e dirigente del primo ufficio di collocamento, la Casa di lavoro per disoccupati della Società Umanitaria sempre per raggiungere i propri ideali: l’armonia tra le nazioni, la giustizia sociale, il rinnovamento delle coscienze, la solidarietà e il rispetto tra gli individui.
Se volete conoscere di più su Alessandrina Ravizza ecco il libro che fa per voi, leggete La signora dei disperati, a cura di Giuliana Nuvoli e Claudio A. Colombo
Monopoly: abbiamo bisogno della versione in cui le donne sono privilegiate?
La Hasbro, società statunitense che produce giochi e giocattoli, ha creato Ms.Monopoly, il Monopoly dove le donne guadagnano più degli uomini. E allora mi è venuta voglia di fare un post sull’inventrice del Monopoly, Elizabeth Magie.
Elizabeth Magie che nella propria vita fu scrittrice di racconti brevi e di poesie, comica, attrice di scena, femminista, ingegnera e giornalista, nel 1904 crea quello che è riconosciuto come il precursore del Monopoly, The Landlord’s Game.
Elizabeth Magie crea il gioco per sostenere le idee economiche dell’economista statunitense Henry George (il cosiddetto georgismo) con l’obiettivo di dimostrare come gli affitti arricchiscono i proprietari e impoveriscono gli inquilini. Elizabeth sapeva che alcune persone potevano avere difficoltà a capire perché questo accadesse e cosa si potesse fare, e pensava che se le idee georgiane fossero state messe nella forma concreta di un gioco, avrebbero potuto essere più facili da dimostrare. Sperava anche che il gioco, se giocato da bambini e bambine, avrebbe suscitato il loro naturale sospetto di ingiustizia, e che avrebbero potuto portare questa consapevolezza in età adulta. Il Monopoli nasce quindi come strumento didattico per insegnare la sua teoria dell’imposta unica.
Il set aveva regole per due giochi diversi, anti-monopolista e monopolista. Le regole anti-monopolistiche ricompensavano giocatori e giocatrici durante la produzione di ricchezza, mentre le regole monopolistiche avevano lo scopo di formare monopoli e costringere chi non riusciva a pagare soggiorni e tasse a uscire dal gioco. La seconda versione è quella che si è affermata nel tempo e ha contribuito a creare il Monopoli per come lo conosciamo oggi.
Le quattro caselle d’angolo identificavano il punto di partenza (Mother Earth), dove si otteneva anche del denaro a ogni passaggio, la prigione (Jail), il Parco Pubblico, e la casella Vai in Prigione. Al centro di ogni lato è presente una casella che indica una ferrovia.
Mi chiedo – e vi chiedo – se non sia più interessante recuperare il gioco originario e con esso le idee di giustizia sociale della sua inventrice invece di creare “per gioco” delle discriminazioni, questa volta a vantaggio delle donne. Della nuova versione mi piace l’idea che dia risalto alle inventrici e che abbia portato concretamente al sostegno di progetti di giovani donne, ma l’idea che ci siano dei privilegi legati alla biologia non riesco a condividerla (neppure per gioco).
Clara Zetkin e la nascita della Giornata Internazionale delle Donne
La Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne, chiamata a volte Festa della Donna con tutto ciò che ne consegue per il nostro immaginario (festa = divertimento, festa della donna e allora quella degli uomini quando è? festa della donna = festa della mamma = festa del papà = san Valentino… ) è avvolta, come tutta una serie di date ormai simbolo, da leggende e invenzioni che si ripropongono l’8 marzo di ogni anno.
L’organizzatrice delle Prima Giornata Internazionale delle Donne, il 19 marzo 1911, è stata Clara Zetkin, teorica marxista e politica tedesca, attivista per i diritti delle donne. Durante la Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste di Copenaghen (agosto 1910) Clara Zetkin insieme a Luise Sietz, propone l’istituzione ufficiale di un giorno nel quale celebrare le battaglie femminili del passato e protestare per i diritti ancora da conquistare. Non una festa quindi ma un giorno di lotta.
Clara Zetkin è stata anche una convinta pacifista. Durante la prima guerra mondiale organizzò una conferenza internazionale delle donne socialiste contro la guerra a Berlino. E a causa di questa sua posizione pacifista fu arrestata diverse volte durante la Grande Guerra.
Clara scriveva “Tutte le donne, qualunque sia la loro posizione, dovrebbero esigere l’uguaglianza politica come mezzo per una vita più libera”. Secondo voi è importante avere una data in cui le donne possano scendere in piazza ed ottenere visibilità, rivendicando il diritto alla propria emancipazione e autodeterminazione, ancora oggi?
Ines Pisoni dalla Resistenza alla Lotta per la Parità Salariale
Tra le date fondamentali del Calendario Civile italiano ci sono il 25 aprile e l’1 maggio e una donna che insieme le rappresenta: Ines Pisoni.
Ines Pisoni (Trento, 28 apr. 1913 – Roma, 4 ott. 2005) è stata partigiana e dirigente sindacale, protagonista della CGIL nella seconda metà del Novecento e degli studi e delle lotte per la parità salariale.
Entra nella Resistenza in Romagna, come dirigente del Partito Comunista clandestino e organizzatrice dei Gruppi di Difesa della Donna. Per l’impegno nella lotta di Liberazione le è stata attribuita la cittadinanza onoraria a Ravenna. Ines racconta la propria esperienza nell’autobiografia Mi chiamerò Serena.
Dopo la guerra viene chiamata a Roma alla direzione del PCI, dove rimane fino al 1946. Dal 1948 si impegna nell’Unione Donne Italiana soprattutto nell’ambito dell’infanzia e dell’emancipazione della donna, poi nella CGIL, dove svolge un ruolo primario nella battaglia per la conquista della parità salariale. Negli anni Sessanta diventa osservatrice per la Federazione Sindacale Mondiale del Bureau International du Travail e partecipa alla Commissione della condizione della donna all’Onu. Scrive l’opera più importante in Italia sulle differenze salariali, Parità di salario per le donne italiane, in cui racconta le lotte delle lavoratrici dall’Unità d’Italia. Un’opera ancora oggi molto attuale!
Anna Brontë (o del potere delle azioni positive)
📚♀️ Azioni Positive ♀️📚
(questo è il modo che mi piace per promuovere la conoscenza e il lavoro delle donne)Oggi è il 200 anniversario di nascita di Anne Brontë (17 gennaio 1820 – 28 maggio 1849) forse la meno conosciuta delle tre sorelle scrittrici inglesi.
Insieme alle sorelle Emily e Charlotte, Anne pubblicò le sue poesie, nel 1845, sotto lo pseudonimo di Acton Bell. Poi scrisse i romanzi Agnes Grey e La signora di Wildfell Hall.
“È stupido desiderare la bellezza. Le persone di buon senso non la desiderano mai per se stesse o si curano che vi sia negli altri. Se la mente sarà ben coltivata, e il cuore ben disposto, nessuno si interesserà mai dell’aspetto esteriore.”
Per ricordarla la biblioteca comunale di Trento ha creato uno spazio per le sorelle Brontë. Pensate come sarebbe bello ampliare queste azioni positive!!
Storia delle Donne – Come capitalizziamo il “di più” femminile nella Scienza?
Oggi vi voglio parlare di donne e scienza e in particolare di come capitalizziamo le scoperte scientifiche e il lavoro delle tante scienziate.
Molto spesso quando si parla del rapporto Donne e Scienza si parla di Effetto Matilda o di difficoltà delle ragazze a scegliere materie della STEM. Tuttavia, cosa sappiamo delle nostre Antenate in campo scientifico? Esiste una capitalizzazione di ciò che hanno fatto le Scienziate?
Vi faccio qualche esempio.
18 luglio 1898 – Maria Skłodowska (Marie Curie) e Pierre Curie annunciano la scoperta di un nuovo elemento che chiamano Polonio.
«Crediamo che la sostanza che abbiamo tratto dalla pechblenda contenga un metallo non ancora segnalato, vicino al bismuto. Se l’esistenza di questo metallo verrà confermata noi proponiamo di chiamarlo Polonio» (in onore della Polonia, paese d’origine della scienziata naturalizzata francese e in “aiuto” alla causa dell’indipendenza polacca dall’impero russo).
Marie Curie vince il Premio Nobel per la fisica (insieme al marito e a Henri Becquerel) nel 1903 e il Premio Nobel per la Chimica nel 1911 ed è oggi considerata una delle scienziate più importanti del Novecento (e riposa al Pantheon insieme al marito una delle poche donne a ricevere tale onore).
19 luglio 1921 – nasce Rosalyn Sussman Yalow, Premio Nobel Medicina 1977.
“È di New York (Bronx). È una donna. È ebrea.” Con queste parole la Purdue University rifiutò la sua candidatura come assistente di fisica all’università, dopo la laurea. Eppure la determinazione e la caparbietà spinsero Rosalyn a sviluppare una nuova tecnica diagnostica – conosciuta come RIA (radioimmunoassay, ovvero dosaggio radioimmunologico) – che, attraverso l’uso di reagenti radioattivi, consente di misurare la concentrazione di ormoni e altre molecole all’interno del corpo.
E per questo ricevette il nobel nel 1977. quando Science ha pubblicato la dissertazione tenuta in occasione della consegna del premio, la scienziata ha chiesto che fosse allegata la lettera di rifiuto ricevuto ventidue anni prima dal Journal of Clinical Investigation.
Ecco le sue parole a Stoccolma un’ispirazione per tutte/i noi: “Non dobbiamo aspettarci che nell’immediato futuro tutte le donne possano ottenere piena uguaglianza e pari opportunità. Dobbiamo credere in noi stesse o nessuno crederà in noi; dobbiamo alimentare le nostre aspirazioni con la competenza, il coraggio e la determinazione di riuscire; e dobbiamo sentire la responsabilità personale di rendere più semplice il cammino per chi verrà dopo”.20 luglio 1969 – 50 anni dall’allunaggio – perché solo blog e siti femministi parlano delle donne che parteciparono all’impresa? E perché in generale non parliamo di astronome, illustratrici e della partecipazione femminile alle scoperte scientifiche.
In un’epoca nella quale non si pensava certo a conquistare la Luna, l’incisora e illustratrice scientifica Maria Clara Eimmart crea oltre 350 disegni delle fasi della luna dall’osservazione attraverso un telescopio (Micrographia stellarum phases lunae ultra 300). Queste rappresentazioni sono diventate la base per una nuova mappa lunare. Dieci di queste tavole sono oggi conservate al Museo della Specola di Bologna.