Surrealismo è Magia
Qualche giorno fa ho avuto la possibilità di visitare la mostra Surrealismo e magia. La modernità incantata presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Si tratta della prima mostra internazionale ad affrontare l’interesse del movimento surrealista per la magia, l’esoterismo, la mitologia e l’occulto. Tra i quadri esposti molti sono di artiste surrealiste o vicine al movimento surrealista: Leonora Carrington, Leonor Fini, Dorothea Tanning, Remedios Varo, Kay Sage e Maya Deren.
Il movimento surrealista rappresenta una delle avanguardie artistiche più interessanti del Novecento, caratterizzati da una ribellione al culto della ragione e della razionalità e un’ispirazione cercata e trovata invece nella magia, nell’alchimia, nell’inconscio e nell’occultismo. Occultismo è un termine che deriva da occulto / nascosto e quindi per le artiste vale ancora di più poiché anche oggi la storia delle donne in generale e la storia delle donne nell’arte sono occultate ossia nascoste.
In questa mostra quindi oltre a vedere decine di opere create da donne possiamo trovare un approfondimento della loro ricerca artistica e dei legami che hanno avuto con altri artisti surrealisti, molto spesso loro compagni. Ma sarebbe riduttivo leggere queste artiste esclusivamente come Muse, come ha fatto molta della critica maschile per tanto tempo. Come ha scritto Leonora Carrington: “Non avevo tempo di essere la musa di nessuno… Ero troppo occupata a ribellarmi alla mia famiglia e imparare a essere un’artista.”
Leonora Carrington, Remedios Varo e Leonor Fini sono sicuramente artiste capaci di esprimere nelle opere qui esposte una ricerca personale sia come artiste che come donne. Legandosi al mito, alle leggende e alle Antenate. E capaci così di creare un mondo matriarcale.
In particolare mi voglio soffermare su alcune opere, iniziando dalle Sfingi di Leonor Fini. Nella mostra sono presenti diverse opere incentrate sulle Sfingi: La pastorella delle Sfingi, La Sfinge Regina, Divinità Ctonia che spia il sogno di un giovane. L’Iconografia utilizzata da Leonor Fini recupera per la Sfinge una prospettiva femminile/femminista, affidandole il ruolo di guardiana della vita e protettrice, forza della natura e forza erotica. Si tratta del recupero di una visione matriarcale sia del mito che dell’universo tanto da farle affermare “questo non è il segno di una femminilità dominante, ma di un’adesione a un culto antico”.
Un’altra opera che mi ha colpita molto è La cucina aromatica di nonna Moorhead di Leonora Carrington. In questo quadro ambientato in una cucina messicana, luogo alchemico per eccellenza dove si prepara e cucina il cibo, l’artista mescola sapientemente in un procedimento magico, simboli messicani come il comal, la grande piastra metallica, e simboli celtici, l’oca gigante, all’interno di un cerchio magico con scritte in gaelico. La cucina inoltre è un luogo prettamente femminile e in questo caso matriarcale perché è la Signora della Cucina è Moorhead, la nonna materna irlandese di Leonora Carrington, che le aveva confidato di discendere dal popolo fatato, mistico e matriarcale degli Shide.
E sempre in un ambiente domestico è ambientato anche il quadro Nutrimento Celeste di Remedios Varo . In questo caso la protagonista è una donna bionda che macina materia stellare per nutrire una falce di luna in una gabbia. Da una parte Remedios Varo denuncia l’isolamento delle donne confinate nella sfera domestica, ma attraverso il rito del nutrimento questa donna si lega al cosmo, fonte mistica di sostentamento.
Voglio soffermarmi anche su un’ultima opera, Lo specchio di Dorothea Tanning. In questo quadro l’artista affronta i temi dell’autodefinizione e del legame delle donne con la natura. La donna infatti è rappresentata da un girasole antropomorfo che tiene in mano uno specchio per rimirare il proprio riflesso. Ma il riflesso rimane nascosto. Come se l’artista stessa volesse eludere l’oggettivizzazione della donna da parte non solo di molti surrealisti ma di tantissimi artisti in generale.
Questo quadro mi ha fatto venire in mente quel passaggio di Una stanza tutta per sé nella quale Virginia Woolf parla del ruolo di specchi che gli uomini hanno creato spesso per le donne: “Per secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi dal potere magico e delizioso di riflettere la figura dell’uomo ingrandita fino a due volte le sue dimensioni reali. È questa la ragione per la quale sia Napoleone che Mussolini insistono con tanta enfasi sulla inferiorità delle donne, perché se queste non fossero inferiori, verrebbe meno la loro capacità di ingrandire.”
Ecco queste artiste surrealiste ci insegnano a non essere specchi, ma a cercare le interconnessioni con la nostra genealogia incarnata e simbolica, mettendo in discussione non solo nei quadri gli stereotipi dei ruoli di genere che ancora oggi la nostra società cerca di imporci.
Come sono diventata femminista
Qualche settimana fa ho letto un libro davvero interessante e che consiglio: Come sono diventata femminista, di Rosangela Pesenti.
La protagonista del libro è nata in un piccolo paese della pianura padana in provincia di Bergamo. Grazie alla laurea in Magistero all’Università Cattolica di Milano è passata da maestra elementare a professoressa delle scuole medie. A settant’anni e dopo l’esperienza di un tumore al seno ha deciso di andare a vivere al mare per creare una distanza fisica ed emotiva con il proprio passato. Una distanza più pensata e sperata che praticata visto che si è portata una valigia piena di quaderni e diari in cui ha annotato eventi e pensieri della propria vita.
Un lunedì mattina la protagonista viene svegliata da una telefonata di Valentina. Valentina è sua nipote, figlia della figlia della sorella, e vuole scrivere insieme alla ziona (così la chiama lei) la storia della loro famiglia, del Sessantotto, del femminismo e dell’UDI. Valentina vuole conoscere la storia ma anche la controstoria, ciò che ha portato a dire che la generazione degli anni Novanta è la generazione di chi ha perso i propri diritti. La zia dapprima non vorrebbe, poi nei giorni che passano dalla chiamata, il lunedì, all’arrivo, la domenica successiva, le attività quotidiane sono inframmezzate dai racconti di vita narrati in un flusso di coscienza che ci ricorda le opere di Virginia Woolf. Mentre sistema la propria casa per accogliere la nipote, la protagonista cerca di sistemare i propri ricordi, dare loro un’interpretazione e in un certo senso prepararsi all’incontro con Valentina.
Come sono diventata femminista è un libro strutturato in sette giorni, proprio come, nella tradizione cristiana, dio ha creato il mondo. O meglio sei giorni di lavorio di pensieri e attivismo delle mani e uno di riposo nell’attesa dell’arrivo di Valentina. Come scrive l’autrice è il racconto di storie alla periferia della Storia, ma proprio per questo più vicine a noi che leggiamo. Sono storie di famiglia in cui ci possiamo immedesimare (la scelta se studiare o no, la scelta rispetto al lavoro, le scelte rispetto alle amicizie e alle relazioni amorose, le scelte politiche). E la scelta più importante quella di diventare femminista. Ma che cos’è il femminismo per la ziona? Nel racconto di Rosangela Pesenti io vedo un femminismo che nasce in due tempi: il primo, più immediato, è rappresentato dalla citazione di riferimenti di letture e biografie femministe, Rosa Luxemburg, Simone de Beauvoir, Virginia Woolf, Carla Lonzi, Teresa Noce, Joyce Lussu, Carla Ravaioli, Bianca Guidetti Serra, Lidia Menapace, Simone Weil, Christa Wolf e l’amica Marisa compagna femminista morta a cinquant’anni di tumore; il secondo è un femminismo agito sul lungo periodo: essere femminista per la protagonista non vuol dire aderire a un partito o a un’ideologia, ma rappresenta un modo di esistere come donna. Con dignità, autonomia e onestà. Ecco perché questo femminismo è un femminismo della quotidianità, un percorso femminista creato e agito nelle scelte e negli atti quotidiani.
Il lavoro di scrittura di Rosangela Pesenti replica ciò che da sempre è un’attività delle donne: salvare vite, riparare i viventi. È ciò che fa anche la protagonista del libro salvando dall’oblio le vite dei famigliari, le loro scelte, i loro oggetti con particolare attenzione alle donne, perché sa che le donne senza memoria del passato sono donne senza memoria di loro stesse. Eppure sono tante, più di quanto pensiamo, le donne che hanno lottato per i nostri diritti, che ci hanno fatto ottenere condizioni di vita concrete perché le generazioni più recenti potessero avere la libertà di studiare, avere un contratto di lavoro certo, anche filosofeggiare.
Queste pagine ci aiutano a ri-vedere la nostra storia, la storia delle donne delle nostre famiglie e la storia delle donne in generale chiedendosi e chiedendoci quanta storia sia passata nei silenzi e nei lavori femminili. Ma ci dà anche una ricetta pratica – come molto spesso sono le donne – per applicare questo femminismo alla nostra vita “fai ogni giorno una cosa per te, una cosa per una donna che ti è vicina e una cosa per il tuo genere”.
Per approfondire con altre recensioni su Come sono diventata femminista leggi qui.
Legge Basaglia. Una liberazione soprattutto per le donne
«Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione.» (Franco Basaglia)
Ricorre oggi il 42esimo anniversario della Legge Basaglia, la legge attraverso cui venivano cancellati i manicomi. Prima della Legge 180/1978 i malati con disturbi psichici erano considerati irrecuperabili e pericolosi socialmente, pertanto venivano allontanati dalla società, emarginati e rinchiusi nei manicomi.
Anche per quanto riguarda i manicomi, c’è una grande differenza di genere: le donne venivano internate con il pretesto della pazzia per ottenere vari risultati: liberarsi di mogli o congiunte e colpire donne che evadevano dagli stereotipi patriarcali di mogli e madri. Un interessante esempio di questo tipo è rappresentato da libro di Annacarla Valeriano, Malacarne. Donne e manicomio nell’Italia fascista
Ma la storia delle donne non è fatta solo di oppressioni. Dobbiamo recuperare le azioni positive, come quella della reporter Nellie Bly (pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran), che nel 1887, si finge una rifugiata afflitta da paranoia e si fa rinchiudere nel manicomio dell’isola Blackwell, allo scopo di scoprire le condizioni di vita delle donne ricoverate. Dopo il suo reportage investigativo, Nellie venne licenziata, ma una commissione stanziò 1.000.000 di dollari per apportare una riforma degli istituti di igiene mentale.
“Prendi una donna perfettamente sana, rinchiudila in una stanza gelida e costringila a sedere dalle 6 del mattino alle 8 di sera, impedendole di muoversi e di parlare, alimentala con pessimo cibo, senza mai darle notizie di ciò che accade nel resto del mondo e vedrai come, ben presto, la condurrai alla follia. Due mesi sono sufficienti a provocarle un vero e proprio esaurimento fisico e mentale”.
In Italia una delle maggiori inchieste sulle donne nei manicomi è stata condotta da Giuliana Morandini, giornalista e scrittrice, con il volume … E allora mi hanno rinchiusa, con cui vince il Premio Viareggio Saggistica 1977. Nella prefazione scritta da Franca Ongaro, moglie di Franco Basaglia, emerge la differenza del corpo femminile rinchiuso in un manicomio.
Per la donna esistono una serie di difficoltà e impossibilità che vengono a sovrapporsi e che sono specifiche del suo ruolo, di ciò che ci si aspetta debba essere, di come deve comportarsi e di quali regole deve rispettare. Il suo essere considerata e voluta “corpo” è ciò che ha impedito alla donna di essere un soggetto storico-sociale, avendo questo corpo valore solo in quanto oggetto per altri, mai per sé. Il posto predominante che amore, figli, sentimenti hanno avuto nella sua vita, è il segno della barriera che l’ha sempre tenuta esclusa dalla vita sociale, offrendole in cambio l’illusione di essere sovrana in uno spazio in cui neppure il corpo era di sua proprietà.
Il corpo è mio e me lo gestisco io!?!
Nelle ultime settimane ha fatto molto parlare di sé la vicenda legata alla giornalista Giovanna Botteri e allora ho pensato di fare un post in cui parlare dell’autodeterminazione femminile nel vestire. Giovanna ha detto rispetto alla propria vicenda “Mi piacerebbe che l’intera vicenda prescindendo completamente da me, potesse essere un momento di discussione vera, permettimi, anche aggressiva, sul rapporto con l’immagine che le giornaliste, quelle televisive soprattutto, hanno o dovrebbero avere secondo non si sa bene chi.”
Bene, ecco allora qualche esempio di donne che nella Storia hanno sfidato le leggi (scritte o non) della rappresentazione femminile nello spazio pubblico. Con una precisazione iniziale importante “La rappresentazione delle donne ha avuto un posto chiave nell’immaginario popolare e ogni forza e ogni movimento politico, che aspirasse alla leadership nazionale o che la esercitasse davvero, e le altre istituzioni (Chiesa, industria dello spettacolo) hanno cercato in qualche modo di appropriarsene o di adoperarla. [Stephen Gundle, Figure del desiderio. Storia della bellezza femminile italiana dall’Ottocento a oggi, Editori Laterza, Roma-Bari, 2007]
Rose Bonheur (pittrice francese), Madeleine Pelletier (psichiatra francese) e George Sand (scrittrice francese) sono state più volte richiamate per la decisione di indossare pantaloni. Una legge della Francia repubblicana ai tempi della Rivoluzione Francese, infatti, obbligava le donne a indossare le gonne.
Constance Lloyd moglie di Oscar Wilde partecipò al Victorian dress reform movement, movimento di riforma dei vestiti durante l’epoca vittoriana, che aspirava a vestiti più leggeri e razionali per le donne e alla liberazione da vere e proprie gabbie come il corsetto.
Amelia Bloomer femminista statunitense che nella propria rivista, “The Lily”, promuoveva un cambiamento negli standard di abbigliamento per le donne, il bloomer appunto (tunica+pantalette): “Il costume delle donne dovrebbe essere adatto alle sue necessità e necessità. Dovrebbe condurre immediatamente alla sua salute, conforto e utilità; e, sebbene non debba mancare anche di condurre al suo ornamento personale, dovrebbe rendere tale fine di secondaria importanza.”
Helen Hulick è stata un’educatrice statunitense finita in prigione per aver difeso il proprio diritto di indossare i pantaloni durante un processo durante il quale da vittima di un furto diventa colpevole di oltraggio alla corte e condannata a 5 giorni di carcere.
Anche nel mondo dei libri per l’infanzia c’è un personaggio a cui piace vestirsi in modo eccentrico e casuale Pippi Calzelunghe, vera e propria icona della libertà e dell’autodeterminazione nata – guarda caso – dalla fantasia e dalla penna di una donna, Astrid Landgren.
Come vedete la lotta per l’autodeterminazione, anche nel campo del vestire, ha una storia lunga …
21 Febbraio, Giornata Internazionale della Lingua Madre
Tra le tante ricorrenze che scandiscono i giorni del calendario, il 21 febbraio è la Giornata internazionale della Lingua Madre, istituita per promuovere la madrelingua, diversità linguistica e culturale e il multilinguismo.
Ho pensato di raccontarvi quindi di Joyce Lussu partigiana, scrittrice, traduttrice e poeta italiana, medaglia d’argento al valor militare, capitana nelle brigate Giustizia e Libertà. Joyce ha descritto l’esperienza della Resistenza nel libro autobiografico Fronti e Frontiere (1946).
Dopo la Liberazione, Joyce è attiva prima nel Partito d’Azione, fino al suo scioglimento nel 1947 e successivamente nel Partito Socialista arrivando alla direzione nazionale. Tornerà a occuparsi di attività culturali e politiche autonome, insofferente di vincoli e condizionamenti d’apparato. Sarà tra le promotrici dell’UDI e lotterà contro l’imperialismo e il colonialismo.
Per conoscere le situazioni storico-culturali degli altri popoli, Joyce si occupa di poesia, traducendo opere di poeti e poete viventi, alternativi, non letterati, spesso provenienti dalla cultura orale (turchi, albanesi, curdi, vietnamiti, africani, eschimesi, aborigeni australiani…). Una traduzione che non si basava sulle regole grammaticali e sintattiche, quanto sulla mediazione, sui suoni e gli umori delle lingue. E questo passaggio fu fondamentale sia per portare in Italia nuovi autori – come per esempio Nazım Hikmet – sia problemi geopolitici, come l’oppressione del popolo curdo!
Concludo con una sua frase che è per me di grande, grandissima ispirazione e che trovate nella homepage del mio sito “Ora io credo che in ogni caso bisogna “costruire” e credo che l’unico modo per combattere certe cose sia è costruirne altre, alternative, senza farsi portare sul terreno di chi sta dalla parte del potere. Io sul loro terreno non ci vado, e intanto, da un’altra parte costruisco un’altra cosa e vediamo come va a finire.”
8 marzo: una giornata di Lotta e di Azione
L’8 marzo è la Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne, chiamata a volte Festa della Donna con tutto ciò che ne consegue per il nostro immaginario (festa = divertimento, festa della donna e allora quella degli uomini quando è? festa della donna = festa della mamma = festa del papà = san Valentino… ) Mi sembra giusto quindi raccontarvi oggi di Clara Zetkin, teorica marxista e politica tedesca, attivista per i diritti delle donne, che è stata l’organizzatrice delle Prima Giornata Internazionale delle Donne il 19 marzo 1911.
Durante la Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste di Copenaghen (agosto 1910) Clara Zetkin insieme a Luise Sietz, propone l’istituzione ufficiale di un giorno nel quale celebrare le battaglie femminili del passato e protestare per i diritti ancora da conquistare. Inoltre durante la prima guerra mondiale organizzò una conferenza internazionale delle donne socialiste contro la guerra a Berlino. A causa di questa sua posizione pacifista fu arrestata diverse volte durante la grande guerra.
Clara scriveva “Tutte le donne, qualunque sia la loro posizione, dovrebbero esigere l’uguaglianza politica come mezzo per una vita più libera”. Secondo voi è importante avere una data in cui le donne possano scendere in piazza ed ottenere visibilità, rivendicando il diritto alla propria emancipazione e autodeterminazione, ancora oggi?
In italiano l’8 marzo prende piede soprattutto a partire dal secondo dopoguerra e attraverso un fiore simbolo: la mimosa. Forse non tutte (e tutti) sappiamo che la scelta della mimosa come fiore simbolo si deve a Teresa Mattei, partigiana e politica, la più giovane donna a essere eletta nell’Assemblea Costituente. Alla scelta di Luigi Longo, segretario del PCI, di usare le violette come in Francia, Teresa Mattei insieme a Rita Montagnana e Teresa Noce, propone l’uso delle mimose: un fiore più povero e diffuso nelle campagne. «quando nel giorno della festa della donna vedo le ragazze con un mazzolino di mimosa penso che tutto il nostro impegno non è stato vano».
Ma Teresa non ha “solo” inventato il simbolo dell’8 marzo in Italia, ha partecipato attivamente alla redazione della Costituzione, ad esempio dell’art.3 sull’uguaglianza dei cittadini e delle cittadine. “È nostro convincimento, che, confortato da un attento esame storico, può divenire certezza, che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese.”
Paula Rego, dipingere l’attivismo
“È indispensabile che le donne abbiano una scelta” ha affermato Paula Rego, artista portoghese per accompagnare alcune sue opere che hanno fatto molto scalpore in Portogallo.
Perché?
Perché Paula nella serie di lavori intitolata Untitled. The abortion pastels (1998). Ogni tela raffigura l’immagine di una donna che subiva un aborto pericoloso. E lo fa come risposta a un referendum sulla legalizzazione dell’aborto in Portogallo che ebbe esito negativo. Paula Rego si oppone alla criminalizzazione dell’interruzione di gravidanza affermando che il movimento antiaborto criminalizza le donne e in alcuni casi metterà le donne, soprattutto quelle povere, in situazioni potenzialmente mortali.
La serie era stata ispirata sia dalle sue esperienze personali che da quelle delle sue studenti. Ritratte con duro realismo, le donne dei quadri ci raccontano di un mondo silenzioso, ma reale per molte donne (ancora oggi). Il lavoro di Paula è stato parte integrante nel cambiare l’opinione pubblica portoghese dove l’aborto è stato depenalizzato (solo) il 10 aprile 2007.
L’utero, l’organo che dà la vita, emetteva anche la voce e nel termine greco omphalos si riconosce il termine omphé (parola) e ompheuein (vaticinare).
Olympe de Gouges e la Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina
Ogni 3 novembre davanti al Panthéon a Parigi si riuniscono centinaia di persone per chiedere un atto simbolico: l’accesso al luogo simbolico più importante di Francia delle spoglie della drammaturga e saggista francese Marie Gouze (Olympe de Gouges, 7 maggio 1748 – 3 novembre 1793).
Marie/Olympe è ricordata per essere l’autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791) dove dichiara l’uguaglianza tra donne e uomini, la Dichiarazione dell’uomo e del cittadino se l’era scordata. La Rivoluzione Francese che poniamo a base dei nostri ordinamenti repubblicani occidentali (libertà, uguaglianza, fratellanza) si manifesta subito come un paese maschilista che esclude progressivamente le donne che avevano partecipato alla Rivoluzione dalla gestione della cosa pubblica.
“Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, chiedono di potersi costituire in Assemblea nazionale. Considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, hanno deciso di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri della donna, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro senza sosta i loro diritti e i loro doveri, affinché gli atti del potere delle donne e quelli del potere degli uomini, potendo essere paragonati ad ogni istante con gli scopi di ogni istituzione politica, siano più rispettati, affinché le proteste dei cittadini, fondate ormai su principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre al mantenimento della Costituzione, dei buoni costumi, e alla felicità di tutti. In conseguenza, il sesso superiore sia in bellezza che in coraggio, nelle sofferenze della maternità, riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’essere supremo, i seguenti Diritti della Donna e della Cittadina.”
Finì ghigliottinata, ma il suo ricordo e la sua azione politica rimangono in noi che ogni giorno lottiamo contro il patriarcato!
6 Maggio – Giornata Internazionale del Colore
Il 6 maggio è la Giornata Internazionale del Colore. Voglio quindi ricordare che anche alcuni colori sono frutto dell’inventiva e della creatività umana.
“[…] il colore d’un tratto mi si palesò davanti agli occhi: brillante, impossibile, sfrontato, piacevole, pieno d’energia, come tutta la luce, tutti gli uccelli e tutti i pesci del mondo messi insieme, un colore proveniente dalla Cina e dal Perù, non occidentale; puro e non diluito. Così chiamai il profumo Shocking.” (Elsa Schiaparelli)
Queste sono le parole della stilista italiana Elsa Schiaparelli, inventrice del rosa shocking e vera e propria artista surrealista! Elsa inizia il proprio percorso creativo nell’alta sartoria un po’ per caso un po’ per necessità, divenendo una delle figure più importanti della moda anni Trenta e di tutti i tempi (ma molto meno conosciuta di Coco Chanel). Frequenta il movimento avanguardista e a Parigi entra in contatto con l’ambiente della moda. I bozzetti, i gioielli e i profumi, influenzati dal surrealismo, creano uno stile ricco e fantasioso, dagli abiti sportivi di ispirazione africana e cubista ai tessuti con ritagli di giornale, abiti con aragoste giganti, animali, soli giganteschi. Ribaltando completamente le idee consolidate sul vestire, inventò impermeabili da sera, abiti in vetro, mantelle color rosa shocking con enormi soli ricamati in oro sulla schiena. e diede impulso alla diffusione della cerniera lampo.
Mary Cassatt, scene di Carnevale italiano
Nata in una famiglia abbiente, ma contraria al suo desiderio di diventare artista, Mary Cassatt (Pittsburgh, 22 maggio 1844 – Château de Beaufresne, 14 giugno 1926) studia alla Pennsylvania Academy of the Fine Arts di Philadelphia. Dopo poco tempo, insoddisfatta della formazione ricevuta, decide di trasferirsi a Parigi accompagnata dalla madre e da alcune amiche. Non potendo frequentare l’École des Beaux Arts poiché donna, prende lezioni private da Jean-Léon Gérôme, Charles Chaplin e Thomas Couture, e frequenta quotidianamente il Louvre.
A causa della guerra franco-prussiana torna negli Stati Uniti: a New York espone ricevendo molti apprezzamenti ma non vendere un’opera, a Chicago perde molti dipinti in un incendio, l’arcivescovo di Pittsburgh le commissiona due opere del Correggio, sovvenzionandole un viaggio a Parma. Ed è proprio in questa occasione che dipinge il quadro che vedete qui sotto. Durante il Carnevale era uso delle giovani donne gettare fiori ai gentiluomini per dimostrare loro interesse.
Insieme all’amica artista Emily Sartain soggiorna anche a Madrid, Siviglia e si stabilisce a Parigi. Espone al Salon (1868-1876) e aderisce al movimento impressionista (1878-1886) grazie al sodalizio artistico con Degas. Successivamente sperimenta tecniche diverse. I dipinti di Mary Cassatt si concentrano sulla vita delle donne di fine Ottocento, con particolare attenzione al legame tra madri, figli/e. In tarda età, rientrata negli Stati Uniti, sostiene la causa del voto alle donne, esponendo 18 opere per supportare il movimento (1915). Tra i riconoscimenti la Legione d’onore (1904).
Oggi le opere di Mary Cassatt sono esposte in varie collezioni private e pubbliche, tra cui National Gallery of Art, Brooklyn Museum, Philadelphia Museum of Art, Art Institute di Chicago, National Portrait Gallery di Washington D.C. e Museum of Fine Arts di Boston.