• Af-fidarsi

    Una delle situazioni in cui mi ritrovo
    più spesso in questi giorni è il dover salvarmi dalla “polemica a
    tutti i costi”. Sembra che ci debba essere sempre una
    giustificazione per ciò che si dice, si fa, si prova. Come se
    avessimo l’onere della prova su di noi. Come se si dovesse continuare
    a dimostrare di essere nel giusto, di non aver fatto male a nessuno
    intorno a noi. Nel frattempo continuo a fare ricerca. In questo
    periodo mi sto occupando della ricostruzione biografica di una delle
    più importanti psicologhe italiane, Angiola Massucco Costa. Nella
    sua lunga vita, Angiola è stata consigliera comunale a Torino e
    deputata, eletta nelle liste del Partito Comunista. Leggo i verbali
    delle sedute del consiglio comunale alla ricerca dei suoi interventi
    ed è inevitabile raffrontarli con la situazione politica attuale: un
    po’ perché ne siamo costantemente immersi, un po’ perché la vivo su
    me stessa con la nomina in commissione pari opportunità.
    E penso a cosa è cambiato. Si tratta
    solo di ideologie cadute e non sostituite con qualcosa di altrettanto
    forte o è come se si fosse rotto un patto tra chi viene eletta e chi
    si candida?
    Tutto questo ragionare mi ha portato ad
    una parola, ad un’azione simbolica che dovrebbe essere la regola del
    genere umano e che invece viene meno: affidamento. Questo termine
    fonda anche la relazione tra donne, l’elaborazione politica del
    femminismo italiano. Il termine ricostruito nel simbolico positivo
    che possiede può aiutarci anche a migliorare i rapporti tra noi e a
    ridare un senso alla rappresentanza e all’azione politica.
    Nell’introduzione al libro “Non
    credere di avere dei diritti”, le autrici appartenenti alla
    Libreria delle donne di Milano dichiarano che lo scopo del testo è
    “la necessità di dare senso, esaltare, rappresentare in parole e
    immagini il rapporto di una donna con una sua simile”.
    Si tratta di un venire al mondo di
    donne legittimate dal riferimento alla loro origine femminile,
    nonostante il fatto che il rapporto tra donne non abbia una storia. A
    poche donne viene insegnata la necessità di curare specialmente i
    rapporti con altre donne e di considerarli una risorsa insostituibile
    di forza personale, di originalità mentale, di sicurezza sociale.
    Nelle molte lingue di una cultura
    millenaria non c’erano nomi per significare una simile relazione
    sociale, come nessun’altra relazione fra donne per se stesse.
    Decidono quindi di chiamarlo “affidamento”.
    “Il termine “affidamento” ha in
    sé la radice di parole come fede, fedeltà, fidarsi, confidare. Però
    può non piacere perché rimanda ad un rapporto sociale che il nostro
    diritto prevede fra adulto e bambino. Quel tirarsi indietro davanti a
    una parola in sé bella, solo per l’uso che altri ne fanno, viene
    visto come un sintomo di impotenza davanti al già pensato da altri,
    in questo caso il già pensato circa i rapporti tra bambini e adulti,
    e quello che sarebbe o non sarebbe conveniente all’età adulta di una
    donna”.
    “Avere delle interlocutrici magistrali
    è più importante che avere dei diritti riconosciuti.
    Un’interlocutrice autorevole è necessaria se si vuole articolare la
    propria vita in un progetto di libertà e darsi così ragione del
    proprio essere donna. La mente femminile senza collocazione simbolica
    ha paura. Si trova esposta a fatti imprevedibili, tutto le capita
    dall’esterno nel corpo. Non sono le leggi e neanche i diritti che
    danno a una donna la sicurezza che le manca. L’inviolabilità una
    donna può acquistarla con un’esistenza progettata a partire da sé e
    garantita da una socialità femminile.”
    A partire da queste frasi che sento
    forti dentro di me, che pratico ogni giorno e che mi hanno permesso
    di creare rapporti forti, di riuscire a confliggere senza avere paura
    di perdere il rispetto o l’amicizia delle persone con cui mi
    confronto, mi chiedo perché si continua a porre l’accento sulla lite
    tra donne? Dove è finito il sentimento della sorellanza? Siamo
    sorelle solo di donne con cui condividiamo un orientamento politico –
    o meglio partitico – in questa politica dei partiti che si sta
    mangiando tutto e soprattutto la nostra libertà di espressione?
    Quanto è forte oggi il bisogno di ogni donna di trovare fra sé e il
    mondo una mediazione fedele in un’altra simile? Quanto il guadagno di
    ogni diventa per se stessa, diventa guadagno per tutte invece di
    generare invidia?
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  • il personale è politico (anche in amore)

    Caro universo,
    scusa il ritardo con cui ti scrivo, ma credo sia giunto il
    tempo in cui non posso più aspettare e questa lettera deve essere scritta e
    spedita. Mi hanno detto che tu realizzi tutti i sogni delle persone, ma che per
    farlo hai bisogno che le persone sappiano ciò che vogliono. La condizione che
    richiedi per esaudire i nostri desideri è un atto di coraggio: metterli per
    scritto, farli uscire da noi in modo che arrivino a te. Ecco il senso di questa
    mia lettera. Spero vorrai aiutarmi. Scegli tu tempi e modi io saprò
    riconoscerli. Queste sono le caratteristiche del mio uomo ideale – tanto per
    non perdere ulteriore tempo:
    1.     
    coraggioso: che sappia esprimere i propri
    sentimenti, i propri desideri, che voglia trovare le condizioni per realizzarli
    aldilà di ciò che prescrive la società in cui abita
    2.     
    allegro: che abbia un sorriso aperto, che non
    abbia paura a mostrarlo, che sia il benvenuto per ogni persona che incontra
    3.     
    intelligente e acuto: che riesca a capire le
    situazioni che vive, che sappia trarne il meglio, che sappia andare oltre le
    provocazioni e le polemiche
    4.     
    generoso: che sappia il valore della
    condivisione, che non abbia paura che gli vengano rubate idee, parole, che sia
    sicuro di ciò che ha perché è espressione della sua essenza
    5.     
    che abbia cura del mondo: che riconosca il
    valore della bellezza, che sappia che chi ha pensato a questo meraviglioso
    mondo che ci circonda e gli renda grazie, che sappia che ogni gesto di cura
    salva il mondo
    6.     
    alto: qui non c’è molto da dire, teniamo conto
    che io sono 1,75m e che ho anche delle simpatiche scarpe col tacco che ogni
    tanto mi piace indossare
    7.     
    curioso: che abbia voglia di fare nuove
    esperienze, che sappia che la vita è cambiamento continuo
    8.     
    ottimista: che sappia cogliere il meglio da
    tutto ciò che accade, che sappia riconoscere che tutto ciò che accade, accade
    per insegnarci qualcosa, che sappia affrontare il dolore e la sofferenza
    sapendo che c’è qualcosa oltre di importante e prezioso che lo aspetta
    9.     
    pulito: che abbia cura del proprio corpo e
    dell’ambiente dove vive, che li celebri come estensione di sé che riconosca
    nella pulizia il principio della bellezza
    10.  educato:
    che sappia utilizzare il sapore massimo di ogni parola, che abbia una proprietà
    di linguaggio adeguata ai discorsi che fa, che sappia trattare ogni persona che
    incontra con rispetto
    confidando in te e nella tua immensa generosità, con tanto
    affetto
    Aurora 
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  • La vita, nonostante (il terremoto e Gramellini)

    Questo post l’ho scritto una ventina di giorni fa, poi decido di tenerlo nel cassetto, lo perdo, lo riprendo, so che dovrei aggiornare il blog più spesso… ma insomma c’è “la vita (nonostante)”.
    Mi pare, tuttavia, che conservi un’essenza di adattabilità nelle tante situazioni che possiamo vivere, nelle disgrazie che ci propinano dai telegiornali, dalle frasi fatte che ci circondano.

    Il post nasceva dalla frequenza con cui ho visto postare su facebook l’articolo di Gramellini “La vita, nonostante”

    http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1189&ID_sezione=56

    Leggendolo mi sono chiesta: ma davvero ci si stupisce che la vita vada avanti anche dopo la peggiore tragedia? Davvero siamo diventati così arroganti e superbi da pensare che intorno a noi tutto si fermi? Davvero siamo così ciechi da non vedere che la natura ci impartisce ogni giorno, ogni momento una lezione di vita? Millenni che l’uomo (essere umano di genere maschile) si chiede filosofeggiando che cos’è la vita, che se lo chiede nella sua biblioteca, tra pagine di libri, con parole incomprensibili, concetti complicati e fuori la vita risponde. La vita è movimento, è procedere continuamente.

    Un albero non fa domande sul terreno in cui sono immerse le proprie radici, sull’aria più o meno inquinata, sulle persone che lo toccano. Un albero è. Un fiore non si fa domande sulla grandezza dei propri petali, sul colore, sulla forma. Un fiore è.

    Di conseguenza non riesco a capire quel nonostante. Non sarebbe più utile ragionare sul perché non vogliamo vivere quando tutto intorno a noi va bene? Non sarebbe più utile ragionare sui rifiuti che opponiamo continuamente alla vita, sul posticipare le nostre azioni, le nostre parole, sui pensieri che ci bloccano, sulle paure che agiscono in noi, sui freni che mettiamo ai nostri desideri?

    Non esiste un concetto elaborato di vita, esiste la vita, e noi non possiamo fare altro che decidere come vivere!

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  • Manifesto per la soppressione dei partiti politici – Simone Weil

    Qualche settimana fa al Salone del Libro di Torino mi sono imbattuta nel catalogo di una casa editrice che preannunciava la ristampa del MANIFESTO PER LA SOPPRESSIONE
    DEI PARTITI POLITICI di Simone WEIL (testo
    pubblicato per la prima volta nel numero 26 della rivista francese “La Table
    Ronde” del 1950). È stata una folgorazione. Ho trovato quel breve testo in
    internet e ho pensato di metterne qualche assaggio perché può essere un’utile lente per
    leggere la nostra situazione attuale… e per capire come dagli anni Trenta del
    Novecento a oggi, il sistema dei partiti politici abbia invaso tutta la nostra
    società riducendo drasticamente la nostra capacità di pensiero e di conseguenza la nostra azione.

    Voglio condividere con voi qualche passaggio di questo scritto per la sua allarmante attualità e per la grazia con cui Simone spiega l’effetto che i partiti politici hanno sulla nostra società e su di noi.

    Secondo la Weil il totalitarismo è il peccato originale dei
    partiti. I partiti nel continente europeo sono nati come eredità del Terrore
    (il club dei giacobini francesi in precedenza era un luogo di libera discussione) e dall’influenza
    dell’esempio inglese (dove tuttavia è presente un elemento di gioco e di sport aristocratico
    che noi continentali non possediamo). 



    Scrive Simone “Il fatto che i partiti oggi esistano non e’
    in alcun modo un motivo per conservarli. soltanto il bene e’ un motivo
    legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi. La
    questione da esaminare e’ se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul
    male e renda cosi’ la loro esistenza desiderabile.”

    Per Simone i caratteri essenziali di un partito politico sono tre:
    – è una macchina per fabbricare passione collettiva (quindi un impulso al crimine e alla menzogna – come diceva Rousseau)
    – è un’organizzazione costruita in modo
    da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri
    umani che ne fanno parte
    – il fine primo, e in ultima analisi, l’unico fine di
    qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite

    Per
    via di questa tripla caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e
    nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli
    che lo circondano non lo sono di meno. Inoltre è vago rispetto alla sua dottrina poiché la dottrina non è una merce collettiva. I
    l partito si trova quindi, per effetto dell’assenza di pensiero, in un continuo stato d’impotenza, che attribuisce sempre all’insufficienza del potere di cui dispone. Se anche fosse padrone assoluto del paese, le necessità internazionali gli imporrebbero limiti troppo ristretti. Diventa inevitabile che il partito sia esso stesso stesso il proprio fine. E così la
    tendenza essenziale dei partiti è totalitaria, non solo relativamente a una
    nazione, ma relativamente al globo terrestre. Poiché 
    la
    concezione del bene pubblico propria all’uno o l’altro partito è una finzione,
    una cosa vuota, irreale, che essa impone la ricerca della potenza totale.
     E’ per questo che c’è affinità, alleanza, tra il
    totalitarismo e la menzogna. 

    La crescita del partito diventa l’unico desiderio: se quest’anno ci sono tre membri in più dell’anno scorso, o
    se l’autofinanziamento ha permesso di raccogliere cento franchi in più, si è contenti. Mai si potrebbe concepire che il loro partito possa avere in
    alcun caso troppi membri, troppi elettori, troppo denaro. La crescita materiale del partito diviene l’unico criterio
    rispetto al quale si definiscono in ogni caso il bene e il male. Esattamente
    come se il partito fosse un animale all’ingrasso, e l’universo fosse stato
    creato per farlo ingrassare.

    Nel momento in cui la crescita del partito costituisce un
    criterio del bene, ne consegue inevitabilmente una pressione collettiva del
    partito sui pensieri degli uomini. Questa pressione, in effetti, esiste. Viene
    mostrata pubblicamente. E’ ammessa, proclamata. Questo fatto ci farebbe orrore
    se l’abitudine non ci avesse talmente induriti. I partiti sono organismi pubblicamente, ufficialmente
    costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e
    della giustizia. La pressione collettiva è esercitata attraverso la propaganda, la persuasione, non la comunicazione della luce. I partiti parlano, è vero, di educazione nei confronti di
    quelli che sono venuti a loro: simpatizzanti, giovani, nuovi aderenti. Questa
    parola è una menzogna. Si tratta di un addestramento che serve a preparare
    l’influenza ben più rigorosa esercitata dal partito sul pensiero dei suoi
    membri.

    Se un uomo, membro di un partito, è risolutamente deciso ad
    essere fedele in ogni suo pensiero unicamente alla luce interiore e a
    null’altro, non può far conoscere questa risoluzione al suo partito. E’
    allora, di fronte a esso, in stato di menzogna. Questa situazione non può essere accettata che a
    causa della necessità, che obbliga a entrare in un partito per prendere parte
    efficacemente agli affari pubblici. 
    Se mi appresto a dire, in nome del mio partito, cose che
    stimo contrarie alla verità e alla giustizia, lo indicherò con un avvertimento
    preliminare? Se non lo faccio, mento. Se
    l’appartenenza a un partito obbliga sempre, in ogni caso, alla menzogna,
    l’esistenza dei partiti è assolutamente, incondizionatamente, un male.

    Ma allora questa necessità è un male, e
    bisogna mettervi fine sopprimendo i partiti.

    E’
    impossibile esaminare i problemi spaventosamente complessi della vita pubblica
    prestando attenzione contemporaneamente da un lato a discernere la verità, la
    giustizia, il bene pubblico, dall’altro a conservare l’atteggiamento che si
    conviene a un certo membro di un raggruppamento. N
    essuna sofferenza attende chi abbandona la giustizia e la
    verità, mentre il sistema dei partiti comporta le pene più severe
    per l’indocilità. Penalità
    che toccano quasi tutto: carriera, sentimenti, amicizie, reputazione, onore,
    talvolta addirittura la vita di famiglia.

    Quando
    in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose
    tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici
    senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. I
    n questo caso chi entra a far parte di un partito sarà preso da preoccupazioni che escludono
    quella per il bene pubblico. I partiti sono un meraviglioso meccanismo in virtù del
    quale, in tutta l’estensione di un paese, non uno spirito dedica un’attenzione
    allo sforzo di discernere negli affari pubblici, il bene, la giustizia, la
    verità. Ne risulta che – eccezion fatta per un piccolo numero di
    coincidenze fortuite – vengono decise e intraprese soltanto misure contrarie al
    bene pubblico, alla giustizia e alla verità.

    Come aderire ad affermazioni che non si conoscono? E’
    sufficiente sottomettersi incondizionatamente all’autorità che le ha emanate (e questo meccanismo è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l’eresia). Il movente del pensiero non è più il desiderio
    incondizionato, indefinito, della verità, ma il desiderio della conformità a un
    insegnamento prestabilito.
    La nostra democrazia fondata sul gioco dei partiti, ognuno
    dei quali è una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica.
    L’influenza dei partiti ha contaminato l’intera vita mentale della nostra
    epoca. E Simone scrive negli anni Trenta!!! Figuriamoci fosse viva oggi cosa direbbe… Chi
     che aderisce a un partito ha verosimilmente visto
    nell’azione e nella propaganda di quel partito cose che gli sono parse giuste e
    buone. Ma non ha mai studiato la posizione del partito relativamente a tutti i
    problemi della vita pubblica. Entrando a far parte del partito, accetta
    posizioni che ignora. Sottomette così il suo pensiero all’autorità del partito.
    Quando, poco a poco, conoscerà le posizioni che oggi ignora, le accetterà senza esaminarle.


    Entrare in un partito significa adottarne docilmente la disposizione d’animo. E’ una posizione così confortevole! Perché equivale a non pensare! 

    La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra
    proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal
    punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo
    stato puro. E’ perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre,
    a livello pratico, che effetti positivi.

    Questa soppressione estenderebbe la propria virtù di
    risanamento ben al di là degli affari pubblici. Perché lo spirito di partito è arrivato a contaminare ogni cosa. In un paese le istituzioni che determinano
    lo svolgersi della vita pubblica influenzano sempre la totalità del pensiero,
    a causa del prestigio del potere. Siamo arrivati al punto da non pensare quasi più, in nessun
    ambito, se non prendendo posizione “pro” o “contro” un’opinione e cercando
    argomenti che, secondo i casi, la confutino o la supportino. E’ esattamente la
    trasposizione dell’adesione a un partito.

    Come, nei partiti politici, esistono democratici che
    ammettono diversi partiti, allo stesso modo nell’ambito delle opinioni le
    persone di ampie vedute riconoscono un valore alle opinioni con le quali si
    dicono in disaccordo. Significa aver perso completamente il senso stesso del
    vero e del falso. Altri, una volta presa posizione per un’opinione, non
    accettano di esaminare nulla che le sia contrario. E’ la trasposizione dello
    spirito totalitario. Quasi dappertutto l’operazione di prendere partito, di prendere posizione pro
    o contro, si è sostituita all’operazione del pensiero. Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti
    politici e si è espansa, attraverso tutto il paese, alla quasi totalità del
    pensiero.

    Non è certo che sia possibile rimediare a questa lebbra che
    ci sta uccidendo, senza cominciare dalla soppressione dei partiti politici.






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  • La politica delle donne – Ada Natali e il dissenso dal Patto Atlantico

    Da ieri è un rincorrersi di notizie
    sulla bomba di Brindisi. Anche se una persona non avesse la
    televisione in casa (aspettando gli “approfondimenti” dei vari
    talk show da domani all’infinito) facebook si è riempito all’istante
    di foto, parole, pensieri in ricordo di Melissa. Ma soprattutto si è
    riempito di parolacce, minacce, associazioni mentali su chi possa
    essere stato il colpevole. Serpeggia il bisogno – espresso o
    inespresso – di trovare il colpevole, il capro espiatorio che possa
    portare via tutte le colpe e nello stesso tempo renderci immuni dal
    fatto di essere noi colpevoli. Certo non è mia intenzione scrivere
    che siamo tutti e tutte potenzialmente assassini e assassine, ma
    quanto male facciamo a chi ci circonda e anche a chi vive più in là
    del nostro sguardo quando non privilegiamo la relazione? Quando ci
    muovono gli interessi – più o meno giustificati – come possiamo
    pensare di creare relazioni sane? Quando solleviamo polemiche –
    molto spesso inutili – come possiamo essere sicuri e sicure che
    l’energia prodotta non faccia male a qualcuno o a qualcuna?

    Proprio per questo motivo, aldilà
    delle polemiche che leggo ovunque e che cresceranno in modo
    esponenziale – voglio dare il mio contributo con un pensiero tratto
    dal primo numero dei quaderni “Storia delle Marche in età
    contemporanea” dell’Associazione di Storia Contemporanea
    dell’Università di Macerata. Tra i vari saggi mi ha colpito quello
    di Eleonora Marsili dedicato alla prima sindaca italiana – ADA
    NATALI -.

    Ada Natali fece parte anche della prima
    legislatura e nella sua attività politica pose il problema della
    tutela delle donne che diventavano madri. Ciò che mi interessa
    condividere ora è il discorso tenuto il 16 marzo 1949 quando Ada
    Natali espresse la propria volontà di votare contro il Patto
    Atlantico. Non credeva alle parole del Governo che presentava il
    Patto Atlantico con scopi pacifici: lo considerava invece un patto di
    guerra che avrebbe sancito l’effettiva liquidazione dell’ONU, unica
    organizzazione per la collaborazione internazionale e la
    realizzazione della pace nel mondo.

    “Signori, in nome delle donne da me
    rappresentate, in nome di tutti i bambini, di tutti gli umili e i
    semplici, non solo delle Marche ma di tutta Italia, io vi invito a
    riflettere su quanto state per fare! Grande è la vostra
    responsabilità; ascoltate il monito che a voi sale e da questi
    banchi e da tutto il Paese! L’umanità è stanca di dolori e di odio;
    non imbrancatevi in guerre fratricide; fate sì che il popolo
    italiano tenda la sua mano ai popoli di tutto il mondo, e cooperate
    alla felicità degli umili, dando pane, pace e lavoro! Ove questo voi
    non facciate, noi ci opporremmo con tutte le nostre forze a che il
    nostro Paese e gli altri paesi, ove si lavoro e si soffre, non siano
    nuovamente devastati dalla vostra guerra inutile e criminale”.

    Queste parole che oggi potremmo
    applicare facilmente all’Unione Europea e a tutti i patti economici
    dissodate dall’oscurità in cui stanno riposando possono costituire
    una genealogia femminile utile alle donne che decidono di entrare
    nelle istituzioni per cambiare questo modello di potere
    individualistico e non relazionale che ci vendono come l’unico
    possibile e praticabile.
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  • R(E)sistenza

    A volte alcuni post richiedono esigono da noi di essere scritti… questo è un post dedicato a tutte le donne che hanno partecipato alla Resistenza e che ancora oggi riescono a darci lezioni di umiltà e di dignità con semplici parole e gesti.

    Sabato mattina ho partecipato ad un incontro organizzato per celebrare le donne del Partigianato piemontese. L’intenzione delle organizzatrici era tracciare una sorta di genealogia femminile con alcune esponenti di un partito politico e con le giovani attiviste. Velocemente ricordo che il ruolo delle donne nella Resistenza per molti decenni è rimasto misconosciuto, dimenticato, confinato in pochi nomi di donne famose perché hanno intrapreso carriere politiche o sono diventate personagge di primo piano.

    Di solito quando partecipo ad un convegno mi piace prendere appunti e mescolare ciò che dicono le persone che parlano alle mie impressioni. Guardare il pubblico. Segnare alcuni momenti. Vicino a me siede una donna molto anziana, avrà tra gli ottanta e i novant’anni e a un certo punto mi dice “Brava, vedo che prende appunti”. La terza persona è un segno di rispetto che mi fa ricordare un’altra donna fantastica che ho avuto la fortuna di conoscere qualche anno fa. Si chiama(va) Suso Cecchi d’Amico e per presentarmi a suo figlio una volta ha detto: “Ecco una mia amica”. La terza persona è rispetto. Rispetto ancora più profondo quando è utilizzata da una persona più anziana nei confronti di una più giovane.

    Solo durante il momento dedicato alla premiazione scopro che la persona seduta accanto a me si chiama Cecilia Genisio ed è una Partigiana. Finito il convegno, durante il quale mi sono molto emozionata, sentendo i racconti di queste donne, mi rivolgo a Cecilia scusandomi se oggi l’Italia è ridotta in questo stato, se i valori che hanno indirizzato le sue azioni sono stati calpestati in questo modo. Lei invece con uno splendido sorriso mi dice “Facciamo una foto. Voglio portarla nei miei ricordi personali”. Sono rimasta sbigottita perché quelle al massimo dovevano essere mie parole, non sue. Che senso ha per una donna che ha avuto una vita come la sua dirmi quella frase?

    Quando ha ritirato l’attestato la giornalista che moderava l’incontro le ha chiesto di aggiungere qualche ricordo a quel momento. Lei, che è di Cuorgnè, racconta che il suo è stato l’unico paese piemontese ad arrendersi senza che ci fosse spargimento di sangue e che lei è stata contenta di aver partecipato alla resa, riuscendo a risparmiare delle vite umane.

    In questi giorni ho ripensato molto a questo incontro. Al significato che voglio dare alle parole di Cecilia. Mi piace pensare alle sue parole come a un invito a dimostrare il suo stesso coraggio nelle mie scelte personali e nel mio modo di stare al mondo. Vivere richiede coraggio e senso di responsabilità. Molto spesso può essere difficile, ci sono momenti bui. La relazione con gli altri e con le altre, il riconoscimento, la genealogia, ci possono aiutare. Condivido questo mio momento con voi affinché un po’ del coraggio di Cecilia e delle sue compagne vi raggiunga.

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  • Qual è la riforma del lavoro che veramente vogliamo? (omaggio a Simone Weil)

    In questi giorni telegiornali e quotidiani ci riempiono di un’ansia che culminerà con il tanto atteso (?!) accordo sulla riforma del mercato del lavoro. Atteso da chi? sarebbe la prima domanda … a cui facilmente si può rispondere atteso da tutte le parti in gioco (politica, sindacati, lavoratori, lavoratrici, aspiranti lavoratori e aspiranti lavoratrici). Anche dall’estero – ci dicono – guardano con attenzione ciò che accade in Italia… Più che sull’attesa, che dò per scontata, vorrei concentrare l’attenzione sul tipo di relazione che si crea tra le varie parti in gioco. Ci sarà uno scontro basato sui rapporti di forza o si penserà veramente al benessere delle persone?

    Qualche tempo fa ho letto il libro di Simone Weil, La prima radice. Alcune considerazioni relative allo sradicamento operaio sono una lente di ingrandimento rispetto a ciò che succede oggi.

    Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana. E’ tra i più difficili da definire. Mediante la sua partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una collettività che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro, l’essere umano ha una radice. Partecipazione naturale, cioè imposta automaticamente dal luogo, dalla nascita, dalla professione, dall’ambiente. A ogni essere umano occorrone radici multiple. Ha bisogno di ricevere quasti tutta la sua vita morale, intellettuale, spirituale tramite gli ambienti cui appartiene naturalmente.

    La condizione del salariato – completamente e perpetuamente legata al denaro – costringe ad essere sempre tesi mentalmente alla busta paga operando uno sradicamento morale delle persone. I salariati sono esiliati e poi riammessi di nuovo, quasi per tolleranza, come carne da lavoro. La disoccupazione è uno sradicamento alla seconda potenza perché le persone non si sentono in casa propria né in fabbrica, né nelle loro abitazioni, né nei partiti e sindacati che si dicono fatti per loro, né nei luoghi di divertimento, né nella cultura intellettuale.

    Lo sradicamento è di gran lunga la più pericolosa malattia delle società umane, perché si moltiplica da sola. Le persone realmente sradicate non hanno che due comportamenti possibili: o cadere in un’inerzia dell’anima quasi pari alla morte o gettarsi in un’attività che tende sempre a sradicare, spesso con metodi violentissimi, coloro che non lo sono ancora o che lo sono solo in parte.

    Che cosa giova agli operai ottenere con le loro lotte un aumento dei salari ed una disciplina meno dura se contemporaneamente in qualche ufficio, gli ingegneri, senza alcuna intenzione malvagia, inventano macchine destinate ad esaurirli corpo ed anima o ad aggravare le difficoltà economiche? Che cosa servirebbe loro la nazionalizzazione parziale o totale dell’economia, se lo spirito di quegli studi non mutasse? Finora i tecnici non hanno mai avuto altra finalità oltre quella delle esigenze produttive. Se cominciassero ad avere sempre presenti allo spirito i bisogni degli operai, tutta la tecnica produttiva dovrebbe a poco a poco essere trasformata.

    Chi cerca di compiere dei progressi tecnici dovrebbe avere continuamente fissa nel pensiero la certezza che, fra tutte le carenze che ci sono nella produzione, lo sradicamento operaio è quella più diffusa. La materia esce nobilitata dalla fabbrica, gli operai ne escono avviliti. Si può porre rimedio a questa situazione? Questo pensiero dovrebbe far parte del sentimento del dovere professionale e di quell’onore professionale che chiunque abbia compiti di responsabilità in un paese e in un’industria dovrebbe possedere.

    Uno dei doveri essenziali dei sindacati operai, se ne fossero capaci, sarebbe quello di far penetrare un’idea simile nella coscienza universale. Se la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici diventasse pressapoco felice, non pochi problemi apparentemente essenziali e angosciosi sarebbero non solo risolti, ma aboliti. L’infelicità è un brodo di coltura per falsi problemi. Fa nascere ossessioni. Il mezzo per placarle non è di dare quel che esse pretendono, bensì di far sparire l’infelicità.

    Ora io mi chiedo: perché pensieri come quelli di Simone Weil non sono alla base dei nostri ragionamenti sulla società? Perché rimane confinata tra poche persone – soprattutto donne – e non viene citata, ripresa, adattata all’oggi? Che almeno questo post le possa fare da cassa di risonanza, piccolo contrappeso alla stazza degli altri filosofi che infestano la politica e le relazioni tra le persone.

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  • Giornata mondiale della Poesia

    Oggi leggo che è la giornata mondiale della poesia – ormai ci sono giornate mondiale per tutto… tra poco ci saranno accavallamenti di feste o un allungamento del calendario per dare spazio ad ogni iniziativa !!! tuttavia la poesia ci abita e ci racconta quindi mi fa piacere condividere qualche testo. Per non sovraffollare anch’io la giornata ho scelto di condividere due testi che mi piacciono molto…

    Una donna (Giorgio Gaber)

    Una donna fasciata in un abito elegante

    una donna che custodisce il bello

    una donna felice di essere serpente

    una donna infelice di essere questo e quello.

    Una donna che a dispetto degli uomini

    diffida di quelle cose bianche

    che sono le stelle e le lune

    una donna cui non piace la fedeltà del cane.

    Una donna nuova, appena nata

    antica e dignitosa come una regina

    una donna sicura e temuta

    una donna volgare come una padrona.

    Una donna così sospirata

    una donna che nasconde tutto

    nel suo incomprensibile interno

    e che invece è uno spirito chiaro come il giorno.

    Una donna, una donna, una donna.

    Una donna talmente normale

    che rischia di sembrare originale

    uno strano animale, debole e forte

    in armonia con tutto anche con la morte.

    Una donna così generosa

    una donna che sa accendere il fuoco

    che sa fare l’amore

    e che vuole un uomo concreto come un sognatore.

    Una donna, una donna, una donna.

    Una donna che resiste tenace

    una donna diversa e sempre uguale

    una donna eterna che crede nella specie

    una donna che si ostina ad essere immortale.

    Una donna che non conosce

    quella stupida emozione

    più o meno vanitosa

    una donna che nei salotti non fa la spiritosa.

    E se questo bisogno maledetto

    lasciasse in pace i suoi desideri

    e se non le facessero più effetto

    i finti amori dei corteggiatori

    allora ci sarebbero gli uomini

    e un mondo di donne talmente belle

    da non avere bisogno

    di affezionarsi alla menzogna del nostro sogno.

    Una donna, una donna, una donna.

    Una donna, una donna, una donna.

    L’altro testo è di una poeta che ho scoperto da poco, sconosciuta quasi in Italia ma citata da Gioconda Belli nel suo ultimo libro Il paese delle donne. Si chiama Ana Maria Rodas e negli Settanta ha scritto la raccolta Poesia della sinistra erotica 

    Per una donna questo non va bene (Ana Maria Rodas)

    Te, ti terrorizza
    parlare di queste cose.
    Le senti, certo, ma ti rodono solo dentro.
    Perché come dire “io desidero”?
    -noi donne non desideriamo
    ci limitiamo a fare figli-
    Come puoi chiedere al tuo sposo
    che ti lecchi e ti monti
    -questo non l’hai imparato a scuola-
    E quando lui raggiunge il suo orgasmo egoista
    non puoi gridargli
    non sono venuta.
    Né puoi masturbarti
    o trovarti un amante.
    Per una donna questo non va bene.
     

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  • Democrazia III ovvero quanto ci possono insegnare le culture indigene

    Dopo aver parlato degli Stati Uniti e dell’Italia voglio condividere alcuni articoli della costituzione boliviana che danno l’idea di come un paese possa riconoscere nelle proprie differenze una fonte di meravigliosa ricchezza e di potenziale espressivo che difficilmente esiste in quelle che nel nostro immaginario sono le democrazie vere e proprie …

    http://www.asud.net/file/COSTITUZIONE_BOLIVIA_2008.pdf

    il preambolo riconosce che lo stato politico si inscrive in quello fisico e nella storia delle persone “In tempi immemorabili si innalzarono montagne, si formarono fiumi e laghi. La nostra Amazzonia, il chaco, l’altipiano e le nostre pianure e valli si coprirono di verde e di fiori. Abbiamo popolato questa sacra Madre Terra con volti differenti, comprendendo la pluralità delle cose e la nostra diversità in quanto esseri umani e culture. In questo modo si sono formati i nostri popoli, e mai abbiamo compreso il razzismo che abbiamo sofferto sin dai tempi luttuosi della colonizzazione né mai lo comprenderemo”.

    TITOLO I
    BASI FONDAMENTALI DELLO STATO

    Articolo 2 Data l’esistenza precoloniale delle nazioni e popoli indigeni contadini originari, e il loro dominio ancestrale sul proprio territorio, si garantisce la loro autodeterminazione nella cornice dell’unità dello Stato, che consiste nel loro diritto all’autonomia, all’autogoverno, alla cultura, al riconoscimento delle loro istituzioni
    e al consolidamento delle loro entità territoriali, in accordo con questa Costituzione e con la legge.

    Articolo 3 La nazione boliviana è costituita dalla totalità delle boliviane e dei boliviani, dalle nazioni e popoli indigeni originari, contadini e dalle comunità interculturali e afroboliviane, che congiuntamente costituiscono il popolo boliviano.

    Articolo 8 I. Lo Stato assume e promuove come principi etici e morali della società plurale: ama qhilla, ama llulla, ama suwa (non essere pigro, non essere bugiardo, non essere ladro), suma qamaña (vivere bene),
    ñandereko (vita armoniosa), teko kavi (buona vita), ivi maraei (terra senza male) e qhapaj ñan (cammino o vita nobile).

    II. lo Stato si regge sui valori di unità, uguaglianza, inclusione, dignità, libertà, solidarietà, reciprocità, rispetto,
    complementarietà, armonia, trasparenza, equilibrio, uguaglianza di opportunità, equità sociale e di genere nella partecipazione; benessere comune, responsabilità, giustizia sociale, distribuzione e redistribuzione dei
    prodotti e dei beni sociali per vivere bene.

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