• La fetta di torta

    Ci siamo. Di nuovo. O forse non ne
    usciamo mai. Sempre in campagna elettorale, sempre visti come
    elettori e da sessant’anni elettrici di improbabili candidati e
    sempre più candidate, dato che vanno di moda le quote rosa. Ma
    veramente pensiamo che sia sufficiente che entrino più donne nel
    sistema politico perché questo cambi? Se il sistema è fallato,
    marcio, perché non pensare a un sistema che corrisponda di più ai
    nostri desideri? Un sistema in cui la rappresentanza sia reale e non
    basata – soprattutto per le donne – sull’appartenenza sessuale.
    Perché mai ho letto o sentito un uomo che diceva: “votatemi perché
    sono uomo”.
    Qualche tempo fa ho letto un articolo
    molto interessante di Lia Cigarini su Via Dogana n.82 che riporta un colloquio tra
    nuora e suocera. La riporto perché apre alla possibilità di pensare
    a un sistema diverso da quello in cui viviamo.
    “Interrogata dalla suocera, Claire
    Lalone, sul movimento delle donne, com’era, che cosa voleva, ecc…
    ad ogni domanda Grace Paley, grande scrittrice americana e
    femminista, rispose che sì, ci sarebbero state donne avvocate, che
    sì le donne avrebbero lavorato con stipendi pari a quelli degli
    uomini e che si sarebbero finalmente liberate dagli uomini che le
    comandavano a bacchetta, che sì, la gente avrebbe amato le figlie
    femmine tanto quanto i figli maschi. Ma c’è dell’altro da dire,
    aggiunse, e cioè che “la maggior parte delle donne del movimento
    non voleva un pezzo della torta dell’uomo. Pensavano che quella era
    una torta piuttosto velenosa, tossica, piena di armi, gas velenosi e
    ogni tipo di ignobile porcheria, non ne volevano neanche una fetta di
    quella torta”.
    “E’ moltissimo”, commentò allora
    Claire Lalone.
    Se le candidate sono selezionate dai
    partiti e passare attraverso le regole di carriera che essi
    impongono, come potranno costruire un sistema diverso? Si tratta di
    cambiare il sistema o di entrare nei luoghi di spartizione del
    potere? E questa lotta, in cui si vive tra rapporti di forza,
    pressione, mediazioni e legittimazione di un potere costruito nella
    storia da un maschile patriarcale, ci interessa davvero?
    Troviamo un modo per pensare e
    praticare forme di politica altre che corrispondono di più ai nostri
    desideri e che migliorino il nostro stare al mondo e le nostre
    relazioni. Invece di accontentarci di una fetta di torta già
    cucinata da altri, scegliamo gli ingredienti per fare la nostra
    torta!
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  • Scrivi sulla mia schiena

    Queste sono le parole più belle e meravigliose che ho letto oggi

    Conoscersi

    Lui le passò la mano su tutte le
    vertebre, una per una, e lei non disse: basta mi fai il solletico,
    anche se lui temeva che lo facesse da un momento all’altro. Invece
    rimase semplicemente a guardare fuori dalle tende scolorite, coi
    capelli che frusciavano da un lato. Lui le accarezzò la spina
    dorsale da cima a fondo, un pezzetto alla volta, e per tutto il tempo
    che gli ci volle per farlo, il suo cervello rimase assolutamente in
    silenzio. E’ a questi spazi vuoti che bisogna stare attenti, perché
    si riempiono di sentimento prima ancora che uno si renda conto di
    cos’è successo; e che si ritrovi, arrivato in fondo alla spina
    dorsale di lei, diverso.

    [Aimee Bender]

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  • Questione di prospettive


    Facendo zapping sul televideo delle
    reti mediaset ho trovato un’intervista a Gianna Nannini sul nuovo
    album “Inno”. Per chi non avesse – non volesse guardare il
    televideo posto il link all’intervista (molto interessante) in cui
    Gianna parla dei pezzi dell’album
    C’è però all’inizio una bella
    dichiarazione d’amore nei confronti della figlia Penelope. Ed è
    questa frase che mi ha colpito e che voglio condividere. Solitamente
    si usa giustificare, soprattutto se si è donne, la scelta di avere o
    non aver fatto figli o figlie. Molto spesso ci si chiede come si
    possa mettere al mondo degli infelici, delle infelici. In un mondo
    come questo? Dove si stanno perdendo i valori, le persone ti fanno
    del male, sei a rischio povertà e tutta un’altra serie di calamità
    sono pronte a rovesciarsi addosso a chi nasce, chi osa pensare a
    riprodursi? Perché riprodursi significa pensare al futuro,
    perpetuare il mondo. In qualche modo farlo sopravvivere.
    Ma non si tratta solo di sopravvivenza.
    A questo proposito Gianna Nannini dice “Ho messo al mondo Penelope
    per cambiarlo, questo mondo. Non sono preoccupata”. Quale più
    grande atto di fiducia e di amore si può chiedere a una madre? Se
    solo si dicesse questo ai propri figli e alle proprie figlie
    soprattutto (visto che l’educazione al genere è ancora troppo
    frequente) sono convinta che ci sentiremmo più autorizzate e
    autorizzati a pensare che veramente possiamo cambiare il mondo.
    Perché quando siamo giovani pensiamo
    che possiamo cambiarlo e poi ci rimediamo a vivere sperando di essere
    serene e sereni? “Non voglio la felicità, mi basta la serenità”
    dicono molte persone. Ma cos’è la serenità? È il non cambiare mai,
    il non tentare, il non fare per paura della sofferenza? Questa è
    vita? Dobbiamo avere sempre la consapevolezza che il nostro stare nel
    mondo lo cambia. Se facciamo qualcosa o non la facciamo, il mondo
    cambia. Tocca a noi decidere come.
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  • Il barattolo delle piccole felicità

    Siamo ancora nell’euforia che
    accompagna i primi giorni di un anno nuovo. E di solito al passaggio
    di anno il rituale prevede la lista dei buoni propositi, che
    puntualmente a fine anno si dimenticano o magari si ripropongono per
    l’anno successivo. 
    Perché trecentosessantacinque giorni sono tanti.
    E ogni persona è ormai immersa in una rete di relazioni, situazioni,
    pensieri e azioni che spesso ci fanno dimenticare i desideri a cui
    teniamo di più. 
     Per questo motivo vi propongo un bellissimo rituale:
    prendete un vasetto – più o meno grande, decidete voi – dove
    inserire dei foglietti in cui scriverete le cose belle che vi
    accadono. Il 31 dicembre 2013 rileggerete quei foglietti. 
    Sarà un
    bellissimo momento ritrovare tutto ciò che quest’anno ci ha donato,
    quelle piccole felicità che troppo spesso si dimenticano…
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  • Né puttana né madonna solo donna (siamo sempre qui!!!)

    Ho voglia di scrivere sulla puntata
    odierna di Beautiful. Iniziamo l’anno 2013 in questo modo, parlando
    di valori, puritanesimo e (non) educazione sessuale nell’american way
    of life che tanto piace in Italia. Riassumo per chi non sappia a che
    punto siamo con la storia: Liam ha divorziato da Steffy e sta con
    Hope. Steffy l’ha sedotto, Hope vuole mantenere la verginità fino al
    matrimonio per una serie di valori: valori morali (lei crede
    fermamente che dovrebbe essere di un solo uomo) e valori economici
    (la campagna della sua collezione alla Forrester creation è
    incentrata sui valori morali della purezza e della verginità).
    Steffy non vuole firmare l’annullamento e la procedura del divorzio
    farà slittare il matrimonio di Hope e Liam di sei mesi. Slitterà
    anche la consumazione del matrimonio. Hope è dibattuta tra il
    mantenere la promessa e il concedersi al futuro sposo. Oggi ne parla
    con Brooke sua madre, che negli anni ha collezionato vari matrimoni e
    varie storie. Liam parla con il padre, Bill Spencer. Questi dialoghi
    che presuppongono ad una positiva apertura del rapporto genitori
    figli – sempre però badando alla regola dell’appartenenza
    sessuale: padre-figlio, madre-figlia – ci riporta agli stessi
    stereotipi, che riguardano soprattutto le donne. Dalla puntata di
    oggi si è imparato che:

    • una donna o è puttana o è
      madonna (ancora nel 2013)
    • una donna o è puttana o è
      madonna fin dalla nascita e così è e ci rimarrà per tutta la vita
    • una donna se si concede (notare
      l’utilizzo del termine), lo fa per tenersi un uomo quindi i valori
      vanno bene solo se non disturbano quelli dell’uomo con cui sta
    • se non gliela dai tu ci sarà
      sempre un’altra donna pronta a dargliela, quindi si fa la gara a chi
      arriva prima
    • l’uomo è vincolato ai suoi
      istinti più bassi (il sesso non può essere un valore positivo, che
      innalza) solo perché è un uomo
    • la donna “santa” non può
      cambiare idea, perché ci sono tante altre donne che credono in lei
    • la donna “puttana” non può
      conoscere la sorellanza e l’amicizia femminile
    Questo determinismo biologico mischiato
    alle ideologie puritane più estreme fa sì che chi guarda le soap
    opera rimanga ingabbiata (ma vale anche per gli uomini) in questa
    dicotomia tra santa e puttana che è costruita culturalmente nella
    storia occidentale e che ancora oggi ha potere sulle scelte di vita
    di tante donne. Ma soprattutto in questo scegliere tra gliela do o
    non gliela do viene escluso il piacere femminile. Come se l’atto
    sessuale sia ridotto a una concessione che si fa all’uomo per non
    farlo scappare dall’altra e non sia un’affermazione, una ricerca e
    una delle possibilità per esprimere il proprio piacere. Ed è
    incredibile che si stia – nei vari blog – con o contro Hope e
    Steffy, che altro non sono che due personaggi che incarnano due tipi
    di donne, e non contro una narrazione così sterile (termine scelto
    apposta) del piacere femminile. Per il 2013 auguro a tutte le donne
    di rivendicare il proprio piacere – a letto e fuori dal letto –
    senza declinarlo in alcun modo in narrazioni che non ci appartengono.
    Di prenderci del tempo per guardarci dentro, esplorarci, trovare i
    nostri desideri e realizzarli. 
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  • ☆¤*¤☆ auguri ☆¤*¤☆

    Babbo e Mamma Natale mi hanno portato una chiavetta che mi permetterà di collegarmi in internet quando voglio e di scrivere più spesso … questo sarà il mio impegno per il 2013!!! 
    Nel frattempo questi sono gli auguri che faccio a chi pazientemente legge e segue e creativamente interagisce – molto più di ciò che faccio io … per ora!!! 
    “Una
    passeggiata nel frutteto ieri mi ha illuminata. È inverno e tutti gli
    alberi da frutto somigliano più a scope di saggina, col manico
    conficcato in terra, che non a ciò che i nostri occhi chiamano albero.
    Chi cedesse alla logica dei sensi, all’impulso di un robusto realismo,
    constaterebbe che la vita ha abbandonato questi alberi e darebbe
    l’ordine di abbatterli. Non imparerebbe mai che le leggi della natura
    hanno previsto qualcosa d’inverosimile, di irragionevole e d’insperato –
    conosciuto sotto il nome di «primavera» – e che questi alberi morti un
    giorno molto vicino si copriranno di germogli, di foglie e di fiori.
    Nessuno mi toglierà dalle mente che non sia così anche per le relazioni
    che ci uniscono e che tagliamo alla base perché le crediamo morte.
    Cinque giorni di pazienza, un mese – o vent’anni – e avremmo assistito a
    un prodigio: la legge rigorosa del «muori e rinasci».” 
    [Christiane
    Singer, Elogio del matrimonio, del vincolo e altre follie]

     

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  • Non sei democratica/democratico (ovvero il modo migliore per zittire chi protesta … fino ad ora)

    Sempre più spesso nei dibattiti in televisione, su facebook, nei convegni, quando qualcuna o qualcuno prendono la parola e accendono un contraddittorio si tende a usare l’espressione “non sei democratico” – “non sei democratica” cercando così di togliere alle persone la possibilità di aprire un dialogo che molto spesso è costruttivo e che permette alla platea – se c’è – di ascoltare diversi punti di vista. 
    Le conseguenze di questa accusa sulla non democraticità polarizzano il dibattito: c’è chi rinfaccia la stessa non democraticità o chi si zittisce. In ogni caso si perde di vista il tema del dibattito che aveva sollevato l’intervento e chi ascolta perde l’ennesima possibilità di ragionare sull’argomento dovendo scegliere la parte da sostenere (o di giustificare la neutralità).
    C’è però un aspetto su cui vorrei concentrarmi io e che molto spesso viene sottaciuto, dato per scontato, perché parrebbe che la democrazia sia la miglior modalità di governo nel nostro mondo moderno. Potete prendere questo ragionamento anche come un “omaggio” al premio Nobel per la PACE all’Unione Europea – che è addirittura peggio del premio dato qualche anno fa a Obama per ciò che potrà fare (e poi non ha fatto visto che l’imperialismo militare statunitense continua imperterrito e noi in Italia lo sappiamo bene con le basi Nato, tanto per fare un esempio).
    Il concetto di democrazia nasce nell’antica Grecia. Democrazia intesa come sovranità popolare diretta: ogni cittadino aveva la possibilità di proporre e votare direttamente le leggi. Sembrerebbe un concetto di democrazia ancora più inclusivo di quello di cui disponiamo noi oggi, che ci basiamo sulla rappresentanza popolare. MA c’è un MA. Chi era considerato cittadino nell’antica Grecia? Esclusivamente chi era libero dal compito di soddisfare i bisogni umani (ciò che oggi chiamiamo “faccende domestiche”). Quindi l’esclusione dalla cittadinanza era per le donne, gli schiavi e le schiave. Gli uomini liberi fanno filosofia, teoria, politica, pensano e organizzano dalla loro alta posizione la convivenza umana. Nella Grecia classica c’è una bipartizione fondamentale dell’ordine simbolico sociale tra uomini e ambiti liberi e non liberi. Un ordine che ci accompagna ancora oggi e che deve essere decostruito per poter dare creare una società in cui ogni persona viva con agio.
    Ecco perché se qualcuno o qualcuna dovesse accusarmi di non essere democratica me ne vanterei!!! 
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  • Etnocentrismo o del razzismo politically correct

    Facendo sempre
    riferimento alle discussioni del Feminist Blog Camp II di Livorno a
    un certo punto viene detto che “il razzismo non esiste più a
    differenza del maschilismo”. Per chi parlava – scusate la mancata
    citazione ma non mi ricordo molto bene – è molto difficile dirsi
    razzisti oggi perché attorno al razzismo è stato costruito un
    simbolico negativo e tutte le azioni perpetuate negli ultimi decenni
    per cambiare questo simbolico potrebbero essere adattate per superare
    il maschilismo e il patriarcato che ancora ci circonda.
    Ma siamo veramente certe
    che il razzismo non esista più? Non sto parlando in assoluto, mi sto
    riferendo ai nostri comportamenti quotidiani. Possiamo definirci
    razzisti e razziste? Ne sappiamo portare il peso? O abbiamo trovato
    un termine, una modalità che ci metta al riparo dalle accuse di
    razzismo e in cui ci possiamo muovere agevolmente praticando atti
    quotidiani rimanendo impuniti e impunite?
    Ieri mentre continuo la
    ricostruzione della biografia di una delle più importanti psicologhe
    italiane del 900 (Angiola Massucco Costa), mi sono imbattuta nelle
    sue ricerche sull’etnocentrismo (per dare qualche indicazione minima
    ci troviamo negli anni 50/60). Massucco Costa vede nell’etnocentrismo
    una variante moderna del razzismo. Se il razzismo si basa su
    differenze biologiche l’etnocentrismo fa leva sulle differenze
    culturali.
    Grazie a questa
    prospettiva ci rendiamo conto di quanto siamo “razzisti” e
    “razziste” ogni volta che contrapponiamo partiti politici,
    ideologie, squadre di calcio, quartieri cittadini, gusti, usi e
    costumi…
    Se analizziamo il
    linguaggio che usiamo per sostenere le nostre tesi o andare contro a
    quelle degli altri possiamo renderci conto di quanto la nostra
    supponenza nasconda un principio di razzismo che deve essere superato
    per vivere meglio e pensare ad un mondo in cui ogni persona trovi la
    propria dimensione liberandoci dall’oppressione del vincitore di
    turno.
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  • educazione relazionale o “il piacere è mio e me lo voglio gestire io”

    Lo scorso weekend sono
    stata a Livorno per la seconda edizione del feminist blog camp. Gli
    incontri dei tre giorni mi hanno aperto ancora di più gli occhi
    sulla potenzialità del web e dei blog, mi hanno fatto conoscere
    nuovi orizzonti (come l’antispecismo) e soprattutto incontrare alcuni
    uomini che lavorano su loro stessi e con altri (uomini e donne) per
    una società non sessista. Uomini che riconoscono come l’oppressione
    femminile sia da rimuovere per una società più libera e felice,
    dove tutti e tutte si possano esprime liberamente.
    Per ora rimane
    un’intuizione da sviluppare, ma mi riprometto di lavorare sul piacere
    e sulle relazioni. Sempre più spesso ritorna l’idea di introdurre
    l’educazione sessuale nelle scuole. Ho tuttavia l’impressione che con
    educazione sessuale ci si fermi ai metodi contraccettivi, alle
    malattie sessualmente trasmissibili, forse a discorsi
    sull’interruzione volontaria di gravidanza. Che sono importanti, ma
    non inclusivi (soprattutto per il genere maschile).
    Preferirei, quindi,
    parlare di educazione relazionale. Perché se è vero che fin
    dall’infanzia veniamo educati ed educate ai ruoli (vedi Dalla parte
    delle bambine di Elena Gianini Belotti) è altrettanto vero che
    un’educazione relazionale attenta al rispetto dei generi può essere
    di grande aiuto nel costruire relazioni soddisfacenti per entrambi.
    A questo proposito voglio riportare
    alcune righe di un volantino che ho trovato a Livorno.
    “Il responsabile della
    oppressione delle donne e delle violenze sessuali che subiscono non è
    l’esistenza della libido maschile ma proprio la legittimazione che dà
    la società alla sua espressione. Esiste l’approccio comune che il
    maschio possiede un desiderio innato troppo forte, simile alle altre
    esigenze corporee come mangiare e bere. Questo approccio vede il
    desiderio maschile come attivo. A differenza del desiderio femminile,
    che va percepito come debole e passivo. Secondo questo approccio,
    visto che gli uomini hanno un desiderio sessuale forte che “deve
    essere soddisfatto”, è solo naturale (e quindi anche legittimo)
    che lo esprimano e cerchino di sfogarsi, anche se questo significa
    fare del male alle donne – dopo tutto non si può fermare un
    bisogno del corpo. Da questo derivano fenomeni sociali come
    l’oggettificazione delle donne, molestie sessuali, la voglia di
    possedere molte donne, il consumo di sesso e/o pornografia, ecc…”
    Non è molto più
    gratificante abbandonare l’opposizione tra desiderio attivo maschile
    e desiderio passivo femminile per dare vita a relazioni basate sul
    rispetto delle due persone come soggetti? Soggetti che hanno desideri
    differenti e che li giocano insieme attivamente nel loro rapporto?
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  • RADICALITA’

    Oggi ho letto una frase che mi è piaciuta molto e che ben riassume e sintetizza i miei pensieri nelle ultime settimane.

    Desiderare il massimo, cominciare da qualcosa.

    Troppo spesso ci si perde in discorsi sui massimi sistemi, troppo spesso si delega la propria soggettività e il proprio desiderio ad altri: famiglia, partner, amicizia, lavoro, istituzioni.

    Esprimere la nostra soggettività significa anche fare, con ciò che abbiamo a disposizione. Il resto verrà. Il fare, il condividere questo fare, narrarlo ad altri e ad altre, ispirare. Ecco ciò che possiamo fare per per riprendere in mano la nostra vita.

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