• Il principio speranza

    Nei giorni scorsi a Torino si è tenuta
    la biennale della democrazia. Riporto dal catalogo l’ambizione di
    questo evento “offrire conoscenza sull’evoluzione della società e
    sui modi di assecondarne lo sviluppo in misura seria e democratica”.
    Come ben sa chi ha letto alcuni dei
    miei post precedenti, non credo molto nel concetto di democrazia.
    Almeno di quella democrazia concepita nell’antica Grecia che mirava a
    escludere invece che a includere. E devo dire che in questi incontri
    un po’ di quel retaggio è rimasto: file chilometriche,
    disorganizzazione eccessiva, forze dell’ordine ovunque.
    Il titolo scelto per la biennale 2013 è
    stato “Utopico. Possibile?” – sempre riporto dal catalogo –
    “che è emblematico e sintetizza alla perfezione il respiro di
    speranza con cui ci si interroga sugli orizzonti ideali e sulle sfide
    che ci attendono in questo passaggio affannoso della modernità”.
    Domenica pomeriggio c’è stato un
    incontro su Ernst Bloch e sul suo libro “Il principio speranza” a
    cura di Enrico Donaggio. Devo dire che nel complesso mi è piaciuto
    molto. Bloch scrive questo tomo di duemila pagine in cui descrive le
    persone come animali utopici: non possiamo non sperare! Ogni nostro
    gesto viene letto da Bloch come prova generale della felicità,
    regalandoci una concezione di utopia attiva e performativa. Il
    problema secondo Bloch è che troppo spesso ci accontentiamo! E che
    la nostra accontentabilità nel tempo diventa sempre più scandalosa.
    Il nostro desiderio, che è alla base dei nostri atti e quindi della
    nostra felicità, si accontenta di troppo poco! Nel nostro mondo di
    oggi, ogni nostro rapporto con le cose traduce un’eccedenza utopica,
    cioè “io vorrei qualcosa di più ma mi accontento di comprare un
    oggetto, nell’acquisto di un oggetto riverso parte della mia energia
    desiderante”. Il professore conclude con una domanda ardimentosa
    “Con questa energia dove potremmo andare?”
    Uno degli aspetti che mi ha colpito di
    più nella relazione è stata la mancanza completa di riferimenti di
    filosofe. Nessuna donna è stata citata come pensatrice. Solo qualche
    riferimento sessista all’utopia come “dea gelosa” – siamo sempre
    qui. E allora come non pensare che se nel panorama dei filosofi e dei
    professori di filosofia entrasse *anche* il pensiero delle donne
    l’utopico diventerebbe davvero possibile. Non sto dicendo che le
    filosofe sono ottimiste per natura, ma che in alcuni libri di
    filosofe possiamo trovare quel pensiero nuovo che diventa guadagno
    per tutti e per tutte. Significa nominare il mondo al
    femminile, conquistare per le donne una voce e un pensiero autonomi
    da quelli maschili per dar vita a una propria immagine del mondo. Non
    è sempre facile: secoli e secoli di educazione al silenzio fanno sì
    che difficilmente ancora oggi nelle donne si radichi
    quell’autorevolezza all’espressione partendo da sé. Fortunatamente
    ci sono donne che hanno detto prima di noi e ci aiutano nel dire a
    nostra volta. Riporto anche in questo post qualche riga dal favoloso libro di Mary
    Daly, Quintessenza:
    Il nostro Dolore non è passivo. Non
    sciupiamo il nostro tempo a deprimerci. Il Dolore si unisce alla
    Rabbia. Il nostro Lamento diventa invettiva. Sapendo che il Suono é
    una forza Potente, Suoniamo Forte il nostro Nominare. Nominiamo.
    Accusiamo. Non ci accontentiamo di sederci in un ritiro in un ashram
    intonando l’OM. Preferiamo Vagare intonando l’OM. Vagare per le
    Galassie, specialmente nella Quinta, Ri-Vendicando la nostra Casa.
    Parlare significa Parlare nell’Essere in Divenire. Con le parole
    Concreiamo Nuovi Vortici di Forza. Nominando ciò che sappiamo,
    generiamo Nuova Coscienza Elementale.
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  • Segnali ovvero W il senso unico !!

    Stamattina una mia amica mi ha raccontato di una sua (dis)avventura relazionale.
    Di come pensava che da una relazione potesse nascere qualcosa di diverso e di come invece l’altra persona sia poi scappata – lei dice – davanti a un’ambiguità dissolta.

    Mentre mi raccontava degli incontri con l’altra persona mi chiedevo cosa ci spinge a pensare che una persona possa provare interesse nei nostri confronti.

    Cosa rende una carezza, un bacio sulla guancia, un tocco, diverso?
    Cosa ci fa credere che una persona provi interesse per noi?
    Perché il valore che diamo a determinati gesti cambia in base a chi li fa. I gesti non sono mai oggettivi, ma assumono un piacere diverso se li riceviamo da determinate persone.

    Dopo il piacere del gesto, del desiderio, delle aspettative, la mia amica si è scontrata con la dura realtà. L’altra persona si è ritirata, nascosta, sottratta al rapporto. Facile dire che fosse disturbata mentalmente [i problemi più o meno li abbiamo tutte] più difficile superare il rifiuto. 
    Partono quindi mille domande: perché ha fatto quel gesto? perché mi ha detto quella parola? era consapevole? c’è un significato nascosto in uno sguardo di sfuggita, un tocco, un sorriso appena accennato? Che senso ha fare quelle battute? c’è un messaggio che dovevo cogliere? un messaggio da decifrare? una risposta da dare? E via con mille paranoie.

    Perché nei film, nei libri, nelle soap opera ci sono sempre i silenzi, i sospiri che ci fanno credere che ci sia dell’altro rispetto a ciò che udiamo, vediamo, tocchiamo. E allora ci aspettiamo anche noi un happy ending, un capovolgimento della situazione a nostro favore. Perché se noi sentiamo così forte ciò che c’è con l’altra persona, come può lei rimanere insensibile, sorda, cieca al richiamo dell’amore? Come può farsi annientare dalla paura, dal timore di un rifiuto, dalle difficoltà che potremo incontrare? Come può sottrarsi, tacersi, trattarci con indifferenza o addirittura male?

    La mia amica essendo poeta ha sublimato questa esperienza scrivendo alcune poesie contenute nel suo ultimo libro. E alla presentazione io ero seduta vicino alla persona a cui erano dedicate – oggi lo so. Che sensazione può dare essere le destinatarie di parole così profonde?

    Giudicate voi …

    M’impongo un assedio lento, discreto.
    Trattengo le parole.
    Non varco mezzo metro sul divano.

    E’ febbre il desiderio di lontano.   

    Bollettino della sera 
    Incredula d’aver già meritato
    sì acerbo castigo
    ascrivo il tuo silenzio a un viaggio
    senza telefonino.
    (Ho riletto di Orlando
    quando, prima di smarrire il senno, 
    che certo Angelica di sé dicesse
    col nome di Medoro
    finché poté si finse).
    Eziologia del fallimento del primo appuntamento
    E dire che il tappo era perfetto,
    morbido e caldo l’elisir ambrato,
    non scelte a caso le paste di meliga
    – antiche varietà
    di mais in etichetta –
    e le ceramiche monregalesi
    bianche e blu, comme il faut, dipinte a mano.
    Riconosco, però,
    ho omesso di scoparti sul divano.
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  • Solitudine e diabete

    Qualche settimana fa una mia amica ha ritirato gli esami del diabete.
    Glicemia alle stelle.
    Visto che siamo ricercatrici abbiamo bisogno di scendere nelle cause profonde del problema. Ne parliamo. Una delle cause potrebbe essere la solitudine.
    Oggi dove siamo tutti e tutte interconessi, dove ci basta fare un clic per parlare con l’altra parte del mondo, ci si può sentire soli e sole?

    Non voglio fare la retorica di chi dice che è più facile parlare con le interfacce informatiche piuttosto che guardare i bisogni di chi è vicino a noi.  Ogni persona ha le sue motivazioni e la possibilità di fare scelte diverse di comportamento e di azione. Sempre.

    Trascrivo invece alcune frasi che ho letto ieri sera nel libro Quintessenza di Mary Daly

    “Le Donne Audaci che entrano nel drastico movimento della Diaspora Metamorfica sono Vegliarde che hanno girovagato e Spiraleggiato lungo sentieri Importanti.
    Le Vegliarde non hanno paura di essere Sole. Amiamo la solitudine in cui possiamo Girare Vorticosamente. L’ “Isolamento” può Ora essere visto come una protezione dal mondo delle chiacchiere inutili e del compromesso – delle infinite bugie – che ci impedivano di Ascoltare.
    Nella nostra Solitudine, le Tessitrici Vorticanti d’Infuriano insieme. Ascoltandosi in ciò che Diciamo, gridiamo Nuove Forme di Pensiero, emettiamo Nuove Tempeste di Parole. Parole Magiche / Sapienti scorrono sfondando gli ostacoli che sono stati costruiti per tenerci divise. Non più sottomesse dal sistema cui non siamo mai appartenute, noi Donne Selvagge borbottiamo, ci lamentiamo, schiamazziamo, ringhiamo. Come Furie, separiamo il nostro Essere dallo stato di separazione, soffiamo Fuoco e voliamo nella Libertà”.

    Chissà se leggere ogni giorno queste righe possa essere un atto psicomagico che fa scendere il valore della solitudine e di conseguenza quello della glicemia … 

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  • Malattie e guarigione

    In molte società sciamaniche

    se andate da un uomo o da una donna medicina

    lamentando di essere scoraggiati

    abbattuti o depressi

    vi chiederebbero di rispondere

    a una di queste quattro domande:

    quando hai smesso di ballare?

    quando hai smesso di cantare?

    quando hai smesso di essere incantato/a dai racconti?

    quando hai smesso di trovare conforto nel dolce territorio del silenzio?

    [Gabrielle Roth]

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  • Parole parole parole …

    Ci sono alcune parole che andrebbero cancellate dal vocabolario delle relazioni personali.

    Mai e sempre sono due termini che dovrebbero scomparire all’istante.

    Quante volte abbiamo detto a una persona “non voglio vederti mai più”.

    Quante volte abbiamo detto “non cambierò mai idea su di te”.

    Quante volte abbiamo ripetuto che il nostro rapporto sarebbe durato “per sempre”.

    Quante volte abbiamo sperato che quella persona ci fosse sempre per noi.

    Il mai e il sempre non tengono conto della vita. Delle sue morti e delle sue rinascite. Sono come anti-biotici. Contro la vita. Che è cambiamento. Sempre e comunque. Anche quando vogliamo che le situazioni, i rapporti, rimangano costanti.

    Ma le relazioni mutano, perché mutano le persone. Non è detto che mutino sempre nella direzione da noi sperata. Anche se sono profondamente convinta che l’universo trami sempre a nostro favore. A volte è difficile accettare che un rapporto che prima ci dava tanta gioia ora sia fonte di sofferenza. E’ difficile accettare che le persone ci abbandonino, che non si accorgano del riguardo e della grazia che mostriamo nei loro confronti. Può durare un momento, qualcosa in più, o addirittura diventare una scelta definitiva.

    Accetteremo più facilmente le screpolature sentimentali, per usare un’espressione che ho letto qualche tempo, se ricordiamo che “… l’amore nella sua forma più piena è un susseguirsi di morti e rinascite. Muore la passione e rinasce. Il dolore viene scacciato e rispunta da un’altra parte. Amare significa abbracciare e nel contempo sopportare molte molte fini, e molti molti inizi, il tutto nella stessa relazione”. (Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi)

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  • Le donne non sono sagge, le donne sono selvagge

    Che giorni concitati questi per l’Italia !!!

    Governo sì, governo no … catastrofi all’orizzonte … dubbi, incertezze, paure …

    Poi oggi all’ora di Napolitano se ne esce con la trovata dei saggi. Verso sera l’elenco. Non metto l’elenco dei nomi per rispetto a chi legge.

    Caspiterina non ci sono donne!!! Ma come è possibile? Ora che le donne sono entrate in massa in Parlamento, ora che alla Presidenza della Camera c’è una gran donna, ora che entreranno donne nei consigli di amministrazione, ora che si pensa ad una Presidente della Repubblica Italiana … Napolitano ci sorprende con un elenco tutto al maschile …

    Ma veramente è una sorpresa? Ma veramente ci teniamo a entrare in un sistema marcio?

    Così ho pensato di riportare – visto che un paio di giorni fa è stato l’anniversario della morte – alcune frasi di Virginia Woolf da uno dei suoi libri più famosi, Le tre ghinee.

    Negli anni Trenta, Virginia era pienamente consapevole che le donne stavano arrivando a un momento della storia in cui sarebbero riuscite a confluire nei cortei delle professioni. E scrive:

    “Questo infatti dobbiamo domandarci senza indugi: abbiamo voglia di unirci a quel corteo, oppure no? A quali condizioni ci uniremo a esso? E, soprattutto, dove ci conduce il corteo degli uomini colti?”

    Sapeva che l’esito non sarebbe stato inequivocabilmente buono.

    “Dinnanzi a noi si apre il mondo della vita pubblica, con la sua ossessività, la sua invidia, la sua aggressività, la sua avidità”.

    Ecco, facciamoci queste domande. E sarà più semplice sopportare questa esclusione, anzi vederla come un motivo di orgoglio e come la possibilità di creare un mondo diverso, un mondo in cui si possa vivere con agio e in cui le relazioni siano libere e vere.

    Queste sono scene meravigliose tratte dal film The Hours in cui viene narrato anche il suicidio di Virginia Woolf.

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  • Resistenza [il coraggio una se lo può dare]

     

    Nei giorni attorno all’8 marzo c’è un’enorme quantità di eventi sulle donne – quest’anno purtroppo si tende a parlare troppo [e male] di donna come vittima. Ho timore che si arriverà a pensare che se non muori allora non è violenza.  
    Come ricercatrice che si occupa della storia delle donne oggi è toccato anche a me intervenire in un convegno. Ho deciso di condividere con voi la citazione finale, tratta da un articolo di Angiola Massucco Costa del 1960 “Il coraggio, uno se lo può dare”. 
    In questo articolo la Resistenza
    viene vista come
    fatto costante della storia
    ,
    finché non si arrivi a un assetto giusto dei rapporti, dell’uso
    delle ricchezze e delle forze naturali, delle possibilità di fruire
    dei beni culturali. La resistenza si trova nell’opposizione alle
    ingiustizie operando per la libertà e il benessere di ogni persona.
    Massucco Costa scrive “i grandi fatti storici devono mutare nella
    coscienza nelle attitudini di pensiero e di azione prima di esplodere
    più o meno violente nei moti popolari. La storia è sempre in
    movimento e i cuori e le menti con essa. Nessuno ha il diritto di
    tenersi in disparte e dire: lasciamo fare a chi spetta. Spetta
    proprio a noi fare, e fare anche noi stessi, darci coraggio, ardore,
    pazienza, costanza.
    Ma
    a fare cosa?
    E
    come?
    Bisogna
    cominciare col guardarsi attorno e domandarsi: va tutto bene?
    Siamo
    rispettosi della personalità altrui e della nostra?
    Siamo
    impegnati in un lavoro produttivo e siamo disposti a lottare perché
    esso ci sia dato se non ne disponiamo?
    Ci
    interessiamo della cosa pubblica, siamo veramente cittadini di una
    repubblica fondata sul lavoro?
    Siamo
    disposti a lottare contro la disoccupazione, le discriminazioni
    religiose, razziali, di sesso?
    Siamo
    informati delle vie da seguire quando vogliamo elevare una protesta
    pubblica o presentare suggerimenti per modificare le leggi?
    Ci
    muoviamo in qualche modo per opporci alle ingiustizie sociali?
    Controlliamo
    che le libertà sociali, civili, politiche siano rispettate?”
    Come avrete capito questo è anche un commento ai commenti dei risultati elettorali. Iniziamo da noi, sempre. Non deleghiamo mai la nostra felicità. 
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  • Vogliamo il pane ma anche le rose

     
    “Come i corpi, anche le anime
    possono morire di fame, 
    per questo vogliamo il pane,
    ma vogliamo anche le rose”,

    Operaie tessili – Massachussetts – Usa – 1912

     

     
    Non si dovrebbe mai dimenticare, 
    se solo fosse
    possibile,
    che in realtà capita di tutto,
    anche il meglio del meglio.
    [Via Dogana n.83, Luisa Muraro] 
    Quanto ne siamo veramente consapevoli
    nelle nostre azioni, nei nostri pensieri, nei nostri desideri?
    Quanto desideriamo qualcosa di più rispetto al “minimo sindacale”?
    Quanto forti sono i nostri desideri?
    Quanto riusciamo a ragionare al contrario, fare scommesse, provare a cambiare ciò che non ci piace nella nostra vita? 
    Sono domande da farsi … ogni tanto …  
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  • 63 anni di Nakba – ovvero si può vivere così?

    Sono stanca del Muro.

    Sono stanca dei checkpoint che separano le città della Palestina.

    Sono stanca dei coloni e degli insediamenti illegali israeliani.

    Sono stanca di vedere scritte in lingua ebraica sul mio documento.

    Sono stanca del fatto che le persono non conoscono niente della nostra storia; mentre sanno così tanto della storia ebraica.

    Sono stanca delle persone che ignorano il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, mentre accettano la “legge del ritorno” per gli ebrei.

    Sono stanca dell’Accordo di Oslo, ce nessuno qui desiderava.

    Sono stanca del fatto che l’Autorità Palestinese non abbia nessuna autorità.

    Sono stanca di vedere mio padre umiliato ai check point, da persone della mia stessa età o anche più giovani.

    Sono stanca del fatto che i miei amici internazionali debbano mentire quando vengono a farmi visita; che debbano essere interrogati e perquisiti, e a volte deportati.

    Sono stanca delle persone che non capiscono che cosa significhi OCCUPAZIONE.

    Sono stanca di avere paura.

    Sono stanca della “sindrome da stress post-traumatico”, divenuta uno status normale per coloro che vivono in Palestina.

    Sono stanca della legislazione umanitaria internazionale che non vale per lo stato di Israele.

    Sono stanca di come venga sempre etichettato come “antisemita” chi lorra per i diritti dei Palestinesi, o di chi critica la politica di Israele.

    Sono stanca del fatto che nessuno ricordi che io anche io sono una semita.

    Sono stanca di sentire gli Israeliani lamentarsi per la discriminazione, quando lo stato di Israele è fondato su un principio di purezza etnica.

    Sono stanca di vivere in un tempo in cui la discriminazione razziale viene accettata.

    Sono stanca di essere costantemente trattata come un sospetto, di come i media mainstream parlino di noi e della nostra condizione.

    Sono stanca del fatto che il mondo intero si preoccupi per Gilad Shalit, quando ci sono oltre settemila palestinesi dentro le prigioni israeliane.

    Sono stanca di dover difendere me, i miei amici, i contadini della mia tessa e di venire per questo etichettata come terrorista.

    Sono stanca del fatto che ovunque io vada vedo il Muro, un insediamento o soldati israeliani.

    Sono stanca di 63 anni di occupazione israeliana.

    [Aprile 2011 – traduzione dall’arabo – anonima]

     Potremmo noi mai vivere in questo modo?

    Cosa faremmo se fossimo costrette a una vita che giorno dopo giorno procede in questo modo?

     

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  • Il corpo sa tutto [o di certo molto più di noi]

    In
    questi giorni non sto molto bene. Fisicamente e psicologicamente.
    Una
    mia cara amica è in ospedale. Un’operazione difficile, una ripresa
    che si preannuncia difficoltosa e non così lineare come ci si
    aspettava o si sperava.
    L’altro
    giorno sono stata a trovarla in ospedale. Ciò che mi è rimasto più
    addosso è stata la sensazione di fragilità.
    Ed
    è come se la sua fragilità abbia fatto emergere la mia. Non posso
    dire che c’è un problema in particolare che mi fa star male in
    questo periodo, ma è tutto un insieme di situazioni – sociali,
    relazionali, lavorative – che cerco di tenere sotto controllo e che
    poi ogni tanto esplodono.

    Probabilmente
    il mio corpo vedendo l’estrema fragilità del corpo della mia amica
    ha capito che era il momento di inviarmi dei segnali. Così voglio
    dare un altro significato alle quelle che spesso sono catalogate come
    “malattie di stagione”. Perché sì certo chi non ha avuto un
    semplice raffreddore in questi mesi? Chi non si sente un po’ stanca,
    debilitata, infreddolita, in questo periodo? Chi non avrebbe voglia
    di andare lontano, di staccare la spina, di rendersi invisibile per
    un po’? Chi non ha mai sofferto per una persona che non ti
    concede/dona le attenzioni che vorresti?

    Ciò
    che mi fa riflettere in modo diverso, che mi spinge a cercare una
    risposta più profonda al malessere di questi giorni è che il
    raffreddore si accompagna a episodi di epistassi. Ho deciso quindi di
    cercare il significato simbolico della perdita di sangue dal naso.

    Partiamo
    dal presupposto che ci sia una correlazione tra il sintomo e la causa
    profonda di una malattia e che la possibilità di arrivare a queste
    cause profonde possa dare il via ad un vero e proprio processo di
    autoguarigione. In questo caso non è molto importante la gravità
    della malattia, ma capire quanto il nostro corpo sia un alleato, uno
    specchio, che ci rimanda all’esterno le nostre emozioni interiori –
    nascoste, temute, profonde.

    Un
    altro presupposto fondamentale ci allontana dall’idea moderna del
    corpo come macchina: ogni parte, ogni organo del corpo umano hanno un
    ruolo preciso nel mantenimento, nell’adattamento e nella protezione
    dell’intero organismo.
    Conoscendo
    la simbologia del corpo siamo in grado di decifrare meglio le
    manifestazioni di squilibrio.
    In uno dei possibili significati
    simbolici il naso rappresenta il fiuto. E fin
    qui ci sta – quante volte associamo il naso al fiuto – quando si
    parla di cani, per esempio, è naturale.
    Vado
    avanti. Si parla di difficoltà a respirare attraverso il naso. Le
    mie sono difficoltà occasionali: legate al fatto di chiedersi se
    siamo perfetti – non possiamo sopportare l’odore delle nostre
    mancanze, delle nostre incompetenze, perché temiamo la critica o il
    rifiuto.
    In
    questi giorni non ho solo difficoltà a respirare, ma un vero e
    proprio raffreddore. Il raffreddore può essere la manifestazione di
    una grande stanchezza che ci obbliga a un periodo di riposo, ma può
    essere anche associato a confusione di pensiero: non si sa più dove
    sbattere la testa. La cosa può riguardare il nostro lavoro, può
    darsi che ci chiediamo: ce la farò a vivere con questo lavoro? Non
    sarebbe meglio che lo lasciassi? È il momento buono? Non sarà
    proprio questa, la soluzione? Tutto è confuso, non sappiamo che
    pesci prendere.
    Direi
    che ci siamo.
    Aggiungiamo
    l’epistassi. Il sanguinamento dal naso rappresenta una perdita di
    gioia nella nostra vita perché non ci sentiamo accettati così come
    siamo. Nel mio sangue, il sangue esce esclusivamente dalla narice
    destra, che per una destrimane, riguarda la dimensione affettiva,
    legata al fatto di non sentirsi desiderati o abbastanza amati. [per i
    mancini è il contrario]
    Leggo
    queste righe. Ci rido. Poi ci penso. Effettivamente non mi sembra
    molto lontana dalla situazione che sto vivendo, dai pensieri che
    faccio. Spero almeno di aver innescato il processo di autoguarigione.


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