Il corpo è mio e me lo gestisco io!?!
Nelle ultime settimane ha fatto molto parlare di sé la vicenda legata alla giornalista Giovanna Botteri e allora ho pensato di fare un post in cui parlare dell’autodeterminazione femminile nel vestire. Giovanna ha detto rispetto alla propria vicenda “Mi piacerebbe che l’intera vicenda prescindendo completamente da me, potesse essere un momento di discussione vera, permettimi, anche aggressiva, sul rapporto con l’immagine che le giornaliste, quelle televisive soprattutto, hanno o dovrebbero avere secondo non si sa bene chi.”
Bene, ecco allora qualche esempio di donne che nella Storia hanno sfidato le leggi (scritte o non) della rappresentazione femminile nello spazio pubblico. Con una precisazione iniziale importante “La rappresentazione delle donne ha avuto un posto chiave nell’immaginario popolare e ogni forza e ogni movimento politico, che aspirasse alla leadership nazionale o che la esercitasse davvero, e le altre istituzioni (Chiesa, industria dello spettacolo) hanno cercato in qualche modo di appropriarsene o di adoperarla. [Stephen Gundle, Figure del desiderio. Storia della bellezza femminile italiana dall’Ottocento a oggi, Editori Laterza, Roma-Bari, 2007]
Rose Bonheur (pittrice francese), Madeleine Pelletier (psichiatra francese) e George Sand (scrittrice francese) sono state più volte richiamate per la decisione di indossare pantaloni. Una legge della Francia repubblicana ai tempi della Rivoluzione Francese, infatti, obbligava le donne a indossare le gonne.
Constance Lloyd moglie di Oscar Wilde partecipò al Victorian dress reform movement, movimento di riforma dei vestiti durante l’epoca vittoriana, che aspirava a vestiti più leggeri e razionali per le donne e alla liberazione da vere e proprie gabbie come il corsetto.
Amelia Bloomer femminista statunitense che nella propria rivista, “The Lily”, promuoveva un cambiamento negli standard di abbigliamento per le donne, il bloomer appunto (tunica+pantalette): “Il costume delle donne dovrebbe essere adatto alle sue necessità e necessità. Dovrebbe condurre immediatamente alla sua salute, conforto e utilità; e, sebbene non debba mancare anche di condurre al suo ornamento personale, dovrebbe rendere tale fine di secondaria importanza.”
Helen Hulick è stata un’educatrice statunitense finita in prigione per aver difeso il proprio diritto di indossare i pantaloni durante un processo durante il quale da vittima di un furto diventa colpevole di oltraggio alla corte e condannata a 5 giorni di carcere.
Anche nel mondo dei libri per l’infanzia c’è un personaggio a cui piace vestirsi in modo eccentrico e casuale Pippi Calzelunghe, vera e propria icona della libertà e dell’autodeterminazione nata – guarda caso – dalla fantasia e dalla penna di una donna, Astrid Landgren.
Come vedete la lotta per l’autodeterminazione, anche nel campo del vestire, ha una storia lunga …