Adele Bei, la prima senatrice della Repubblica Italiana
Sono passati pochi giorni dall’1 maggio, Festa del Lavoro come viene chiamata oggi, ma anche giornata per fare il punto sulle questioni lavorative. E allora voglio ricordare la sindacalista e politica Adele Bei (4 maggio 1904 – 15 ottobre 1976). Adele si iscrive al PCI nel 1925, riparata in Francia è arrestata nel 1933 durante uno dei rientri clandestini in Italia e condannata dal Tribunale speciale a 18 anni di reclusione ne sconta dieci nel carcere femminile di Perugia. Durante il processo i giudici fascisti per convincerla a denunciare i compagni cercarono di speculare sui suoi sentimenti di madre, ricordandole i figli rimasti in Francia. La risposta di Adele fu molto determinata: “non pensate alla mia famiglia, qualcuno provvederà; pensate invece ai milioni di bambini che, per colpa vostra, stanno soffrendo la fame in Italia”.
Nel 1943 entra nella Resistenza romana col compito di organizzare le masse femminili e i giovani e con compiti di collegamento con la formazione che operava sui monti della Tolfa. Dopo la Liberazione sarà l’unica donna a far parte della Consulta nazionale su designazione della Cgil di cui è una delle responsabili della Commissione femminile nazionale. Eletta all’Assemblea costituente nelle liste del PCI, nella I legislatura è senatrice di diritto per meriti antifascisti (unica donna).
Deputata comunista nelle Marche fino al 1963, si è sempre occupata dei problemi delle lavoratrici. Nel 1951 diventa la responsabile del Sindacato nazionale tabacchine, e successivamente segretaria generale. Sarà anche presidente dell’Associazione nazionale delle donne contadine.
Quando con il decreto governativo del 4 agosto 1945 vengono licenziate 4.000 avventizie delle Ferrovie dello Stato per far posto ai reduci Adele Bei si mette a capo della protesta delle lavoratrici, e il licenziamento viene ritirato, anche se per i reduci sono riservati per il biennio successivo il 50% delle assunzioni private e pubbliche, penalizzando quindi le donne. E durante il Congresso della CGIL alla presentazione della Carta delle lavoratrici che impegna la Camera del Lavoro a difendere il diritto al lavoro delle donne, controllare che fossero abolite le discriminazioni nei concorsi, tutelare le fasce deboli del mercato del lavoro e affermare il principio “ a lavoro uguale, uguale retribuzione” Adele Bei rimprovera a Giuseppe Di Vittorio di aver omesso, nella relazione introduttiva, il “problema femminile”. Dice di essere la portavoce di 5 milioni di lavoratrici che le hanno dato il mandato di rappresentarle e insiste sull’unità sindacale come unità tra uomini e donne: “abbiamo ancora troppe poche donne interessate alla vita sindacale e negli organismi dirigenti sindacali. Abbiamo soprattutto troppa incomprensione in mezzo alla massa dei lavoratori che dovrebbero essere il sostegno di queste donne lavoratrici sfruttate e oppresse”.
Adele Bei fu molto attenta anche all’uso di un linguaggio non sessista: si definiva senatrice e parlava delle tabacchine come “lavoratrici” e non usando il generico e consueto “lavoratori”. Una decina di anni dopo la morte di Adele, nel 1987 il gruppo di studio guidato da Alma Sabatini scrisse le Raccomandazioni per un Uso Non Sessista della Lingua Italiana. Nella premessa si legge “L’uso di un termine anziché di un altro comporta una modificazione nel pensiero e nell’atteggiamento di chi lo pronuncia e dunque di chi lo ascolta. La parola è una materializzazione, un’azione vera e propria. È altrettanto chiaro che il valore semantico è strettamente legato al contesto linguistico ed extralinguistico in rapporto dinamico”. Adele Bei è stata un’anticipatrice di queste riflessioni molto attuali ancora oggi.