R(E)sistenza
A volte alcuni post richiedono esigono da noi di essere scritti… questo è un post dedicato a tutte le donne che hanno partecipato alla Resistenza e che ancora oggi riescono a darci lezioni di umiltà e di dignità con semplici parole e gesti.
Sabato mattina ho partecipato ad un incontro organizzato per celebrare le donne del Partigianato piemontese. L’intenzione delle organizzatrici era tracciare una sorta di genealogia femminile con alcune esponenti di un partito politico e con le giovani attiviste. Velocemente ricordo che il ruolo delle donne nella Resistenza per molti decenni è rimasto misconosciuto, dimenticato, confinato in pochi nomi di donne famose perché hanno intrapreso carriere politiche o sono diventate personagge di primo piano.
Di solito quando partecipo ad un convegno mi piace prendere appunti e mescolare ciò che dicono le persone che parlano alle mie impressioni. Guardare il pubblico. Segnare alcuni momenti. Vicino a me siede una donna molto anziana, avrà tra gli ottanta e i novant’anni e a un certo punto mi dice “Brava, vedo che prende appunti”. La terza persona è un segno di rispetto che mi fa ricordare un’altra donna fantastica che ho avuto la fortuna di conoscere qualche anno fa. Si chiama(va) Suso Cecchi d’Amico e per presentarmi a suo figlio una volta ha detto: “Ecco una mia amica”. La terza persona è rispetto. Rispetto ancora più profondo quando è utilizzata da una persona più anziana nei confronti di una più giovane.
Solo durante il momento dedicato alla premiazione scopro che la persona seduta accanto a me si chiama Cecilia Genisio ed è una Partigiana. Finito il convegno, durante il quale mi sono molto emozionata, sentendo i racconti di queste donne, mi rivolgo a Cecilia scusandomi se oggi l’Italia è ridotta in questo stato, se i valori che hanno indirizzato le sue azioni sono stati calpestati in questo modo. Lei invece con uno splendido sorriso mi dice “Facciamo una foto. Voglio portarla nei miei ricordi personali”. Sono rimasta sbigottita perché quelle al massimo dovevano essere mie parole, non sue. Che senso ha per una donna che ha avuto una vita come la sua dirmi quella frase?
Quando ha ritirato l’attestato la giornalista che moderava l’incontro le ha chiesto di aggiungere qualche ricordo a quel momento. Lei, che è di Cuorgnè, racconta che il suo è stato l’unico paese piemontese ad arrendersi senza che ci fosse spargimento di sangue e che lei è stata contenta di aver partecipato alla resa, riuscendo a risparmiare delle vite umane.
In questi giorni ho ripensato molto a questo incontro. Al significato che voglio dare alle parole di Cecilia. Mi piace pensare alle sue parole come a un invito a dimostrare il suo stesso coraggio nelle mie scelte personali e nel mio modo di stare al mondo. Vivere richiede coraggio e senso di responsabilità. Molto spesso può essere difficile, ci sono momenti bui. La relazione con gli altri e con le altre, il riconoscimento, la genealogia, ci possono aiutare. Condivido questo mio momento con voi affinché un po’ del coraggio di Cecilia e delle sue compagne vi raggiunga.